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DARK AGES A closer look Andromeda Relix 2017 ITA

Un gruppo non certo giovane, quello dei veronesi Dark Ages. Il chitarrista Simone Calciolari lo ha infatti fondato nel 1982 e ad oggi rimane l’unico elemento della primissima formazione. Un primo album dedicato alla festa pagana dei Saturnalia nel 1991, poi il ritorno sulle scene addirittura venti anni dopo con il concept “Teumann”, il cui secondo capitolo – forti del successo ottenuto col primo – viene pubblicato verso la fine del 2013. I componenti sono più o meno quelli attuali, con Angela e Carlo Busato, rispettivamente tastiere e batteria. L’anno successivo si dimostra professionalmente importante, grazie alla rappresentazione teatrale del concept di cui sopra, come una vera e propria rock opera. E poi, di recente, l’entrata del bassista Gaetano Celotti e del cantante Roberto Roverselli. Un libretto davvero ben curato, con l’artwork che risulta opera della stessa Angela Busato e delle belle fotografie di Elisa Catozzi, con cui si rimarca il filo conduttore spirituale ed elevato che lega le varie composizioni. Quanto proposto è senza ombra di dubbio prog-metal, non occorre girarci tanto attorno. Purtroppo la produzione non è curata e sfavillante come la confezione, intaccando così il valore complessivo. Si è ascoltato sicuramente di (molto) peggio, però i suoni risultano un po’ soffocati, quando invece avrebbero avuto bisogno di limpidezza e maggiore potenza. Un fattore necessario, anche perché le improvvise variazioni melodiche ne avrebbero senza ombra di dubbio beneficiato. Il paradigma dei nuovi Dark Ages è da individuare già nell’iniziale title-track, che parte molto dura ma che si evolve davvero velocemente, facendosi forte anche dei riferimenti vecchi Dream Theater di “Afterlife”, brano che col passare degli anni sembra essere diventato un punto di riferimento per parecchie band.
Il pezzo di apertura è forse quello in cui Roverselli – peraltro autore dei testi – riesce a dare una maggiore flessibilità ed espressività alla sua voce, soprattutto nella parte finale, ancora più melodica. Una puntualizzazione doverosa, perché non sempre la voce appare come un elemento vincente; questo non certo per qualche deficit del cantante stesso, ma perché sembra che ancora debba ben amalgamarsi con il sound del gruppo, che spesso guarda a quello raggiunto dai DGM, altra realtà italica. Anche se qualcuno ha parlato di hard-rock e di prog tricolore – elementi che sporadicamente emergono –, qui è chiaramente il metal a farla da padrone, come testimonia l’alone di drammatica epicità che aleggia su tutti i brani. Anche il drumming va chiaramente in quella direzione, con tutti i controtempi del caso, senza dimenticare le interessanti linee di basso, che si dispiegano a volte anche in fase solista. Per una volta, inoltre, la presenza femminile non è solo coreografica ma si assiste ad una vera e propria “parità dei diritti”, che vede la brava Angela fare sia da ottimo collante e sia prodursi in alcuni piacevoli assoli. E poi c’è Calciolari, che nelle fasi più orecchiabili sembra rifarsi a Neil Zaza; il chitarrista mostra di che pasta è fatto nell’assolo finale in stile Savatage post-Criss Oliva della sostenuta “Till the last man stands” (convincente Roverselli), ma anche in “You”, canzone a marce alternate che un po’ ricorda ancora una volta i primi Dream Theater, soprattutto quelli di “To live forever”. E qui, in effetti, tra i rimandi alla band di New York, vengono fuori anche quelli a certo hard gagliardo e – in un breve intermezzo – alla PFM. C’è da dire che i pezzi sono tutti abbastanza lunghi, con un incedere cha sa tanto di “Stargate”, facendo calare magari l’attenzione durante l’ascolto; ma d’altra parte si deve anche dire che risultano assemblati piuttosto bene, come nei dieci minuti di “At the edge of darkness” (ma perché a tratti viene in mente un pezzo strumentale come “The Ytse Jam”?!). Una buona alternanza di atmosfere, dove risalta il pianoforte con la sua profondità, che ben smussa le scariche elettriche della chitarra, ma anche l’organo ha un suo perché… Nonostante ciò, sarebbe stato bene fermarsi un po’ prima e accorciare la composizione, fattore che si avverte anche nel resto dei brani. Certo, “Against the Tides” è una ballad ottimamente sostenuta dal sax di Enrico Bentivoglio, giocata poi sulle voci di Claudio Brembati, Tiziano Taffuri e soprattutto Ilaria L’Abbate, già presenti nella rappresentazione della già citata opera rock, ricordando così i progetti di Arjen Lucassen. “The anthem” parte (e si conclude) pacchiana, ma si riprende decisamente nella parte centrale grazie ai botta e risposta organo-chitarra, a stop-and-go e assoli pianistici di ovvia scuola seventies, risultando così un dichiarato tributo a quel decennio. Chiude “Fading through the sky”, in linea col cielo stellato del booklet interno, che anche grazie al recitato di Paul Crespel – esponente di Street Photography in Italia – rimanda col pensiero ai danesi Royal Hunt, anche se poi la proposta è senza dubbio più corposa, soprattutto per l’uso della chitarra solista.
Beh, questa nuova proposta della band scaligera non è affatto male. Un gruppo odierno analogo potrebbe essere quello dei tedeschi Black Lands, che mostrano affinità fin dal nome. Ci sono determinati difetti da correggere, senza alcun dubbio, ma questo non pregiudica la bontà della proposta. Sperando che questo non sia però un pretesto per non continuare a migliorarsi.



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Michele Merenda

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