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MÖBIUS STRIP Möbius Strip Musea Records 2017 ITA

Capita, talvolta, di prendere in mano un CD di una band italiana sconosciuta e infilarlo nel lettore senza nessuna aspettativa particolare. Quel po’ di curiosità rimane, ci mancherebbe, però il gesto lo si fa comunque con leggerezza, immaginando che sia un altro dei tanti prodotti che, da pretese progressive, si ridimensiona in forme ripetitive, magari piacevoli, ma che alla fine dei conti finiranno sullo scaffale con una miriade di altri. Poi arrivano le prime note e rimetti a posto la mascella abbassatasi per lo stupore.
Questo è esattamente il caso che mi è accaduto. Pensare che dietro a quel foglietto di presentazione e di richiesta recensoria, ricco di meravigliosa modestia, si cela una band tecnicamente validissima e che si presenta con una proposta da far leccare i baffi molti progster di mia conoscenza e spero anche tanti altri.
Il contenuto di esordio di questa band laziale di Sora e dintorni è jazz rock progressivo di forte stampo canterburyano. I sentori magici di Soft Machine, Caravan periodo “If I Could …”, Gilgamesh e Nucleus saltano all’orecchio immediatamente e l’opener “Bloo” è lì per dimostracelo.
Ora, quanto questa predisposizione sia consapevole tra le fila della band, non è dato noto. L’età del quartetto, una media di 24/25, anni non me li fa certo immaginare sdraiati sul pavimento tutta la notte ad ascoltare “Third” o “If 2” o “Elastic Rock”, ma il risultato mi direbbe di sì.
Lorenzo Cellupica alle tastiere, Nico Fabrizi al sax e al flauto, Eros Capoccitti al basso e Davide Rufo alla batteria, questa la formazione completa che si esprime in una forma di jazz rock – fusion che non si può etichettare come Canterbury Sound tout-court, ma che presenta momenti molto più avvicinabili tanto a Weather Report, Return to Forever, quanto agli italici Arti & Mestieri o Perigeo o Venegoni e Co.
Sei brani che, a parte il breve e melodico esercizio pianistico di “Call it a day”, si aggirano sugli 8/9 minuti, dando modo ad ogni componente di uscire in maniera evidente per qualità e capacità tecniche. Già si è detto di “Bloo” che assieme a “First Impression” rappresentano i due momenti maggiormente canterburyani, con sax in bella evidenza a reggere gran parte dei fraseggi melodici e a creare paesaggi jazzati molto centrati. Sviluppo molto interessante per “Andalusia”, brano più vicino alle tematiche di Chick Corea, tra spunti spagnoleggianti e aperture molto calde e mediterranee. Tematiche in parte utilizzate anche per “Möebius Strip” dove però si inseriscono anche stacchi di tastiera che mi portano all’orecchio lo stile e la genialità di Joe Zawinul.
Qualche difetto o qualche ingenuità? Qualcosina si può dire, non tanto per questo disco quanto per le attese del prossimo, ad esempio cercare qualche spazio di assolo in più per le tastiere sottraendolo ad un sax forse troppo protagonista. Ma sono aspetti adesso trascurabili, quindi godiamoci questo disco così com’è.
Lavoro davvero bello, una sorpresa decisa che mi riempie di belle aspettative per il futuro di questi ragazzi. Band italiana dell’anno quasi certamente, disco probabilmente anche. Bravi.



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Roberto Vanali

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