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NEUSCHWANSTEIN Fine art Longbow Records 2016 GER

Ben 38 anni dopo la pubblicazione dell’acclamato “Battlement”, album ben noto ad ogni progger che guardi appena un po’ al di là del solito orticello, il tastierista Thomas Neuroth riprende da solo in mano il prestigioso monicker (inizialmente era presente anche il flautista originale Klaus Mayer) e, dopo un lavoro durato 8 anni ed essersi attorniato di un buon numero di musicisti che supportassero a dovere il suo progetto, dà alle stampe questo nuovo lavoro che, musicalmente, non ha praticamente nulla a che spartire con il vecchio album d’esordio. “Fine Art” è infatti una collezione di 10 tracce strumentali, 3 delle quali sono dei rifacimenti di brani classici (rispettivamente di Debussy, J. A. P. Schulz e Camille Saint-Saens), dalle sonorità bombastiche, talvolta tronfie, altre volte più delicate e gentili che, di primo acchito, non può non suggerirci accostamenti alle opere di EL&P o, per rimanere in Germania, di Triumvirat e Rousseau.
Se da un lato possiamo avere una precisa opinione, non propriamente positiva, su queste operazioni di reunion, in special modo quando un solo membro originario decide di appropriarsi del nome del gruppo (anche se Neuroth rivendica per sé la scelta del nome, tanti anni fa), dall’altra bisogna ammettere che quanto andiamo ad ascoltare è di certo interessante e ben realizzato.
Attorno a Neuroth, si diceva, c’è un vero e proprio gruppo, in parte dai connotati rock (chitarre, basso, tastiere, batteria) ma con innesti che contribuiscono a donare all’occorrenza alla musica un sapore classico e cameristico (flauto, recorder, violino e viola). Il brano d’avvio, peraltro il più lungo del lotto, è un rifacimento di “Fêtes”, un notturno di Claude Débussy, già dall’incedere brillante nella sua concezione originale e qui reinterpretato in modo energico e dinamico, con dovizia di chitarre e tastiere tronfie ma anche momenti più delicati in cui gli strumenti classici si fanno sentire efficacemente. I brani successivi, a parte gli ultimi due che costituiscono gli altri rifacimenti di classici cui si accennava, sono originali ma le caratteristiche che andiamo ad ascoltare sono più o meno le stesse del precedente: pezzi dai connotati classicheggianti, ora dalle sonorità più tenui, ora più rockeggianti.
L’album è abbastanza breve, appena una quarantina di minuti, questo aiuta a non farci sopraffare dalle dosi di zucchero che queste note inesorabilmente emanano. Si tratta di un album quindi grazioso, certamente divertente, che segna il recupero più che dignitoso di un nome storico della storia del Prog.



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Alberto Nucci

Collegamenti ad altre recensioni

NEUSCHWANSTEIN Battlement 1979 (Musea 1993) 

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