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VEZHLIVY OTKAZ Voennye kuplety / War songs Geometriya 2017 RUS

Non è semplice per me parlarvi dei Vezhliviy Otkaz perché di istinto ve li presenterei come si fa con dei vecchi amici, senza troppi preamboli e dando per scontato che tutti siano consapevoli del loro valore storico ed artistico. Devo ammettere che la realtà è molto diversa e per i più si tratta probabilmente di qualcosa di esotico e dal nome impronunciabile. Come farvi capire allora la gioia che ho provato nell'ascoltare “Geese and Swans”? Come farvi capire quanto attendessi un successore di quel disco che ci ha messo ben 7 anni ad arrivare?
La carriera del gruppo inizia nel 1986 in clandestinità e in piena epoca sovietica. Da allora la storia è andata avanti e molti dischi sono arrivati. Quello di cui parliamo è il decimo in studio ma esiste anche materiale dal vivo e probabilmente anche cose nascoste chissà dove e di cui ignoro l'esistenza e che magari affioreranno prima o poi da un passato molto attivo. La gestazione di quest'opera è stata molto lunga e risale per lo meno al periodo in cui fu concepito il già citato “Geese and Swans”, o “Gusi Lebedi” per usare il titolo originale in russo (se non lo avete, che sia chiaro, sarebbe proprio obbligatorio procurarselo). Proprio nell'estate del 2008 il leader Roman Suslov (chitarra e voce) scrisse una suite intitolata “Six Songs About War”, tanto più che esistono delle sovrapposizioni fra questi ultimi due album, con ben tre pezzi inizialmente pensati per “War Songs” entrati a far parte di “Geese and Swans”, uno dei quali, “Marsh”, viene utilizzato per aprire dal vivo proprio la suite sulla guerra. Musicalmente riconosciamo di certo delle assonanze e la formula di base con chitarra, pianoforte e voce in una caustica miscela di rock, jazz e musica da camera, torna a risplendere in una forma molto sfacciata e densa di contrasti. Probabilmente però il tema della guerra rende tutto più esasperato. Si affievoliscono le tematiche classiche con un pianoforte forse un po' più penalizzato rispetto al passato e che viene suonato nelle prime 5 tracce da Maxim Trefan e soltanto nelle ultime due da Pavel Karmanov. Anche l'impianto vocale è meno ipertrofico, seppure quel modo di cantare molto caratteristico di Suslov, estremanente teatrale e martellante, musicale di per sé stesso e che trascende il significato stesso delle parole, rimanga un elemento fondamentale per la dinamica dei brani. Si scorge poi un richiamo evidente alle classiche canzoni sovietiche con tematiche di guerra, rievocate in modo iperbolico e sarcastico nel loro tronfio patriottismo.
Proprio il pezzo di apertura “What if” è molto emblematico di questo particolare stile con i suoi ritmi scanditi, le trovate quasi cabarettistiche ed i versi urlati. Sicuramente la musica è meno stratificata e di assimilazione più immediata, se così possiamo dire di una produzione simile, ma i contrasti sono forse ancora più accentati ed il risultato finale appare forse addirittura più ostico rispetto al più complesso “Geese and Swans”. Nonostante la comune genesi dei due album scopriamo che si tratta in realtà di due opere distinte e dai tratti ben caratteristici. D'altra parte, per quanto la formula del precedente album fosse azzeccata, si dovrebbe sempre auspicare qualcosa di diverso da musicisti di un certo livello quali sono quelli impegnati nella line-up dei Vezhliviy Otkaz.
“Guderian and the Ice Cream”, il secondo brano, si fa strada con prepotenza nelle nostre orecchie, martellante e assai poco lineare, scoprendo subito i suoi tratti nervosi e poco assimilabili con sembianze che sono quelle di un RIO molto robusto. I colpi della batteria di Mikhail Mitin sembrano quelli di armi da fuoco, l'architettura del pezzo è molto tormentata, con fiati (che sono quelli di Pavel Tonkid al sax e di Andrey Solovyov alla tromba) molto liberi, e talvolta dai suoni strappati, e un piano poco presente e molto frammentato. Si tratta sicuramente di brani di analisi non immediata.
“Infantry in the Trenches” spezza un po' questo ritmo marziale con le cadenze flessuose del jazz ed il violino di Sergey Ryzhenko cupo e struggente che disegna melodie nostalgiche, intensificate dal canto in stile sovietico. Ma in queste atmosfere notturne le melodie finiscono con l'incepparsi ed il cambio di scena con intersezioni fra musica da camera e jazz rock è sfacciato. Questo era il brano più lungo con una durata di circa 8 minuti e mezzo, ma i pezzi più brevi non sono certamente i meno complessi. “Hopak” ha ancora quel tronfio sapore patriottico con cori da parata militare ed una performance di Suslov teatrale ed esasperata. Ancora da ricordare, in questa traccia, lo splendido assolo di tromba.
L'album è davvero difficile da sintetizzare ma sicuramente “Sky Shooter” rimarrà maggiormente impressa per il cantato fatto di slogan urlati che si impone su uno sfondo sonoro davvero accidentato. “We Will Win”, piacevole e spumeggiante, recupera un impianto melodico intellegibile con aperture folk e sinfoniche che ricordano più da vicino lo splendido “Ethnic Experiences”, uno degli album che preferisco del gruppo. “Overture” ha influenze classiche più accentuate, come il titolo del resto poteva far intuire, con un approccio avanguardistico che la lega molto a “Geese and Swans”. Colpiscono in particolare le sequenze suonate alla velocità della luce e gli sbalzi d'umore imprevedibili che permettono voli pindarici che oscillano dalla schizofrenia totale alla chanson melodrammatica.
Il pezzo di chiusura, che si intitola appunto “Finale”, è una fugace appendice sonora che conclude in modo non eclatante un album superlativo che forse, purtroppo, rischia di appassionare meno rispetto a “Geese and Swans” ma che non è assolutamente da meno col suo carattere particolare, le sue acrobazie, le sfuriate ed i momenti di follia. Credo che se non lo abbiate ancora fatto sia giunto il momento di fare amicizia con questo gruppo fautore di uno stile musicale che, senza esagerare, definirei unico.



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Jessica Attene

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