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JUKKA IISAKKILA Clocks and clouds Eclipse Music 2018 FIN

La particolarità che mi ha incuriosito di quest’album è il fatto che Jukka Iisakkila, pur ancora piuttosto giovane (è del 1972), sia un noto conduttore d’orchestra, con un curriculum lungo come un trattato e che vanta collaborazioni e conduzioni di orchestre sinfoniche e filarmoniche in patria, in Danimarca, Nuova Zelanda, Canada e altre parti del mondo, con numerosi riconoscimenti. Le sue predilezioni lo spingono comunque in direzione della musica contemporanea e da qui alla passione per Zappa, Pekka Pohjola e un certo tipo di musica rock e fusion, il passo è (relativamente) breve. Dopo alcune collaborazioni anche come chitarrista ed arrangiatore, ha sentito quindi l’esigenza personale di registrare questo suo primo album solista in cui si occupa di tutti gli strumenti tranne la batteria (pur avendo una laurea anche in percussioni), appannaggio questa di Ilkka Saarikoski.
Le passioni di Jukka in fatto di rock annoverano anche, oltre ai due nomi summenzionati, Steve Vai e i Genesis e tutto ciò è chiaramente riconoscibile in queste sei composizioni (più una) strumentali (dalle durate abbastanza omogenee, per un totale di 42 minuti) in cui Jukka ci mostra principalmente il suo virtuosismo chitarristico, incanalato in una musica dalle caratteristiche fusion, con fughe e cavalcate spesso mozzafiato ma non priva di variazioni e momenti più riflessivi, anche se non troppo orchestrati. Le tastiere sono peraltro relegate in secondo piano e scarsamente utilizzate.
Nella prima parte dell’album sono presenti tre tracce abbastanza lineari, incentrate principalmente su una chitarra che oscilla tra Vai e Holdsworth, con virtuosismi, anche se non esasperati, ritmiche sincopate e ben poche pause di riflessione. Dopo la breve e un po’ bizzarra “Interludes”, che pare avere quasi la funzione di spartiacque, le tre tracce successive, a cominciare dalla title track, hanno caratteristiche leggermente più eclettiche e presentano soluzioni un attimo più elaborate, pur conservando molte caratteristiche fin qui descritte. La chitarra è sempre la protagonista indiscussa ma la struttura di questi brani è di certo più complessa, con ritmiche stavolta più eterogenee e varie. Inutile dire che la mia predilezione va senza dubbio per questa sezione dell’album in cui, specialmente nell’ultima traccia “Shakin’ it on”, è dato anche ascoltare qualche nota di piano e tastiere non più in lontano sottofondo.
Un album interessante, alla fine dei conti, ma per cui non ci strapperemmo i capelli, al di là della curiosità iniziale sul suo autore.



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Alberto Nucci

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