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CARPTREE Subimago Reingold Records 2018 SVE

Lungo sodalizio quello che lega i Carptree, il duo formato da Carl Westholm (tastiere, Theremin, basso, chitarre e percussioni) e dal cantante Nicklas Flinck, insieme dal 1997 e giunto attualmente al traguardo del settimo album in studio. Nonostante la lunga strada percorsa, il loro stile mantiene connotati ben riconoscibili e una resa che si dimostra solida e stabile negli anni. Merito anche della No Future Orchestra, un pool di musicisti da tempo coinvolto in questo progetto e che in questa ultima uscita si ferma a cinque unità.
Chi conosce il gruppo sa già che troverà un sound profondamente ispirato ai Genesis, con una performance vocale di Flinck che per di più oscilla con disinvoltura fra Collins e Gabriel, ma dal taglio più moderno, tecnologico ed oscuro. Qualcuno ricorderà sicuramente gli sgargianti interventi del Chamber Choir come anche l'uso esteso del piano che forniva degli eleganti intarsi di gusto classico, e magari ricorderà anche che il precedente “Emerger”, risalente appena allo scorso anno, risultava più avido che in passato sia nell'uso delle parti corali che degli elementi orchestrali, denunciando una sorta di appiattimento stilistico in una versione ancora inconfondibile ma decisamente semplificata di quella musica che un tempo, e mi riferisco in particolare ad album come “Superhero” (2003) e “Man Made Machine” (2005), ebbe un grosso impatto sulle mie orecchie.
Non dilungandomi più del dovuto sui preamboli voglio subito dire che questo nuovo album recupera in parte rispetto al suo predecessore più prossimo e si spinge forse un po' più lontano rispetto alle uscite ancora più vecchie. Non solo viene restituito un ruolo dignitoso ai cori che, pur non essendo certamente impiegati a profusione, vengono inseriti in momenti topici, per dare enfasi a sequenze specifiche, potenziando l'emotività dei brani, ma gli arrangiamenti appaiono più ricchi ed elaborati ma soprattutto, e questa è la grande novità, molto variegati. Mentre in passato i brani apparivano incredibilmente omogenei, in questo caso vi è una diversificazione stilistica che fa apparire questo album decisamente interessante.
Si parte con una graffiante “Welcome”, dominata dall'organo e da sonorità tempestose, e già entrano in ballo i cori che aggiungono un tocco quasi spettrale ad un brano di per sè molto vario nella sua breve durata che sfiora appena i quattro minuti. L'impatto emotivo cresce e culmina con gli ululati del Theremin che ci portano all’apice del pathos. “By Your Own Device” è abbellita da suoni tecnologici ma si basa soprattutto sul canto affascinante di Flinck che scivola morbido ed enigmatico a dar voce a liriche scorrevoli e melodiche. Anche qui gli inserti elettrici della chitarra irrompono a dar profondità e a creare nuove prospettive. La melodia è un elemento chiave e come sempre la musica scorre con grande piacevolezza senza mai tralasciare alcune tonalità drammatiche e teatrali che da sempre contraddistinguono la poetica dei Carptree e che fanno sicuramente parte di pezzi come “Worl Without Mind”, brano che tra l'altro sviscera un tema molto caro al gruppo che riguarda la convivenza fra la macchina e l'uomo.
Non mancano momenti delicati, come nella breve e centrale “Instead of Life”, in cui torna protagonista il pianoforte con la sua semplice eleganza. Lo stesso pianoforte torna a farsi sentire in “Celestial Sky” e si combina agli elementi corali in una miscela decisamente teatrale che ricorda i momenti migliori del gruppo svedese.
I brani si succedono in modo spigliato e la loro durata sempre abbastanza contenuta (la punta massima è di poco inferiore agli 8 minuti) offre l'idea di un continuo cambio di scena. Mi soffermerei ulteriormente sul pezzo conclusivo, “Sum of All Senses”, quello che appunto è il più lungo degli otto, lasciando a voi il compito di completare l'esplorazione di questo album accattivante che ci porta al termine dell'ascolto ancora carichi di energia. Anche in questo caso le parti corali, seppure non troppo sgargianti, diventano il fulcro emotivo che guida i sentimenti dell'ascoltatore e le atmosfere, ben disegnate da elementi tastieristici fluidi e da chitarre ben presenti, sono incombenti e degne di un gran finale.
Se avete apprezzato i Carptree in passato questo nuovo album si rivelerà sicuramente una piacevole sorpresa, cosa che potrebbe comunque essere vera anche per i neofiti del gruppo svedese che consiglio e che merita sicuramente la vostra attenzione.



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Jessica Attene

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