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BUBU El eco del sol Viajero Inmovil 2018 ITA

Eravamo consapevoli che sarebbe arrivato, dopo l’EP “Resplandor” pubblicato (solo in digitale) nel 2016, alla fine eccolo qui, il nuovo album dei Bubu… o meglio DI Bubu, ovvero Daniel Andreoli, ideatore di questo che è il suo progetto personale in forma di gruppo e in cui si ritaglia ancora una volta il ruolo di compositore ed arrangiatore, con compiti strumentali molto limitati (basso). Un bel po’ di tempo dopo l’uscita del suo unico (finora) album, Andreoli decide quindi di dare un seguito ad “Anabelas”, chiamando attorno a sé un gruppo totalmente nuovo di musicisti (la sola Virginia Maqui Tenconi faceva parte del coro che partecipò alla registrazione di quell’album e in questa nuova esperienza è tastierista e direttrice del coro) e, 40 anni dopo, ecco finalmente il nuovo album a nome Bubu. Dico finalmente perché, come sa chiunque abbia avuto modo di ascoltarlo, “Anabelas” era un vero capolavoro, imprescindibile per qualsiasi appassionato di Prog, possibile ispiratore anche di gruppi come Änglagård. Bubu era ed è ancora una formazione orchestrale che include la classica strumentazione rock cui si uniscono fiati, violini ed un nutrito ensemble corale.
“Resplandor”, come detto, ci aveva dato giusto un piccolo assaggio di tre brani ma “El Eco del Sol”, che peraltro include tutti e tre quei brani, pare riprendere il discorso esattamente dove si era precedentemente interrotto nel 1978. Questo album incarna infatti perfettamente lo spirito di coerenza e continuità con l'eredità di "Anabelas" ma allo stesso tempo aggiunge elementi di rinnovamento all'interno dell'eclettico dinamismo Avant-Prog che è essenziale per i Bubu. Vista la conformazione particolare della band, non c’è fortunatamente l’effetto reunion, quando due o tre componenti della formazione originale di qualche band dei ‘70s si rimette assieme per fornire (la maggior parte delle volte) una pallida immagine di quanto facessero qualche decennio prima. Viene forgiato di nuovo uno splendido mix di musica Prog sinfonica, barocca, cameristica, classicheggiante, jazz… con intrecci e melodie strumentali effervescenti che ovviamente predominano sulle rare parti cantate. La musica tuttavia è riconoscibilmente moderna e solo idealmente legata agli anni ’70 e a quanto veniva proposto allora, con un’ispirazione ancora mutuata dai modelli crimsoniani, gentlegiantiani, zappiani e tutto ciò che è chamber-rock ma sapientemente ed efficacemente visto ed elaborato con una maggior maturità ed una concezione attuale.
Questa volta l’album non è strutturato secondo lunghe e variegate composizioni come il primo album; sono presenti 8 tracce di breve e media durata, quasi tutte strumentali, come si diceva, in cui solo due sono quelle cantate. Il coro funge da strumento aggiuntivo che saltuariamente arricchisce il novero delle soluzioni musicali a disposizione di Andreoli, senza minimamente appesantire il dinamismo della musica. Ad esso è affidato il ruolo di contraddistinguere l’incipit dell’album, quella “Resplandor” i cui toni solenni e maestosi ci avevano già entusiasmato nell’omonimo EP di un anno e mezzo prima. La title-track successiva, la più lunga dell’album coi suoi 9 minuti, è uno dei due pezzi cantati anche se le linee vocali non sono certo asfissianti ed onnipresenti, accompagnando solo i momenti di crescendo strumentale della musica, piacevolmente complessa, dinamica e movimentata, con cambi improvvisi che comunque si susseguono coerentemente. In “Omer”, l’altro brano cantato nonché già presente anch’esso nell’EP, le linee vocali che sono state aggiunte in questa versione non aggiungono molto al risultato e anzi secondo me rallentano un brano che già presenta armonie meno scintillanti e dinamiche degli altri.
Già come aspettative, con l’esperienza d’ascolto dell’EP, quest’album era, già prima di ascoltarlo, tra i candidati più seri, nella mia personale classifica di fine anno, per occupare una delle primissime posizioni. L’ascolto effettivo non fa che confermare queste aspettative e non posso fare a meno di invitarvi caldamente a beneficiare di questo splendido lavoro.



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Alberto Nucci

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