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SEASONS OF TIME |
Welcome to the unknown |
autoprod. |
2018 |
GER |
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Il primo album (“Behind the Mirror”) di questa band di Brema risale al 1997, dopo di che c’è stato un primo scioglimento, fino al 2014, anno in cui è stato pubblicato “Closed Doors To Open Plains”, album in cui solo due membri della line-up precedente erano ancora presenti. In questo terzo lavoro è rimasto il solo Dirk Berger (basso, tastiere, voce) dei membri fondatori a fare un po’ da fac-totum, accompagnato da Florian Wenzel (già presente nell’album precedente) alle chitarre e Julian Hielscher alla batteria. La musica della band è orientata decisamente sul Progressive sinfonico, con sonorità neo-Prog un po’ fredde (caratteristica molto comune nelle band tedesche similari) ma con composizioni moderatamente lunghe ed articolate che spaziano su ritmiche talvolta sostenute ma atmosfere spesso ampie o comunque non particolarmente complesse e stimolanti. La presa in carico di tutte le parti vocali da parte di Berger, precedentemente appannaggio di Malte Twarloh, non è completamente soddisfacente, vista la timbrica della sua voce, sinceramente troppo spigolosa e sforzata, tralasciando la pronuncia inglese molto teutonica (che ci sta e, di per sé, non infastidisce); d’altra parte anche la soluzione precedente lasciava un po’ a desiderare, essendo sempre state le parti vocali il punto più debole di quanto propostoci dalla band. L’album, che in teoria è un concept in cui ci viene suggerito di porre maggiore attenzione alle cose più importanti e basilari della vita, è composto da 6 canzoni, solo due della quali al di sotto dei 7 minuti. Su tutte spiccano i 14 minuti e mezzo di “Joana”, brano di punta dell’album e situato in posizione centrale, sicuramente il più eterogeneo e probabilmente il migliore, sia qualitativamente che in quanto a gradimento personale, anche per il buon assolo di chitarra che lo caratterizza. E’ proprio la chitarra a segnare positivamente la musica della band, il suo suono fluido e la sua positiva attitudine che si accoppia alle comunque discrete parti di tastiere, dai suoni queste un po’ freddi (come si diceva) ma con bei momenti e belle atmosfere che a momenti saltano fuori emergendo dal predominante compito tappetistico. E’ il caso ad esempio delle melodie di “Dreams of a Madman”, direttamente reminiscenti dei primi Marillion, o degli umori misteriosi creati, in associazione con la chitarra, per la traccia d’avvio “Toward the Horizon” o ancora la già citata “Joana”. Album discreto, in sostanza, fatto di un ascoltabile e concreto new Prog, che necessita magari di un minimo di adattamento alle parti vocali ma non per questo va dimenticato che la musica e le canzoni sono gradevoli e sufficientemente ben strutturate.
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Alberto Nucci
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