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RPWL Tales from outer space Gentle Art Of Music 2019 GER

A cinque anni dall’ultimo, e non troppo convincente, “Wanted” e dopo un paio di album live dove la band riproponeva il repertorio floydiano delle origini, i tedeschi RPWL si ripresentano con un nuovo lavoro di inediti dal titolo “Tales from outer space”. Sette brani del loro classico prog melodico, fortemente debitore del sound di Gilmour e compagni (senza Waters). La mancanza di originalità non significa che la band non abbia una sua ragione di esistere come confermano i consensi ottenuti da più parti e le numerose date live che riescono comunque a programmare. “Tales from outer space” non è un concept nel senso classico del termine, ma le composizioni sono comunque accomunate dal fil rouge legato alla fantascienza.
“A new World” (singolo di presentazione dell’album) ci catapulta subito nel classico sound della band fatto di atmosfere ariose e dilatate, con un bel ritornello a rendere la confezione più appetibile, oltre alle solite incursioni della chitarra elettrica di Kalle Wallner a duettare con le tastiere di Lang e Jehle. “Welcome to the freak show” si mantiene sulle medesime coordinate con, in più, qualche rimando “space” a ricordare i connazionali Eloy del periodo a cavallo tra i ’70 e gli ’80. I dieci minuti di “Light of the World” sono un altro bel bigino floydiano-gilmouriano con la chitarra di Wallner sempre piacevolmente ammiccante, il bel cantato malinconico di Lang e soffuse tastiere. Niente di nuovo, ma fatto bene. Poco ispirata ed un po’ ripetitiva “Not our place to be”, meglio invece “What I really need”, piacevole pop song ben confezionata. Il “rischio” non è nel DNA della band tedesca che continua imperterrita con la propria proposta ormai consolidata nel tempo e che sfocia nella bella “Give birth to the Sun” tra new prog ed i maestri Eloy (i Floyd non li citeremo più…). L’album si chiude in maniere soft con “Far away from home” con un notevole “solo” cristallino di Wallner.
Un lavoro senza sorprese, dunque, ampiamente e piacevolmente prevedibile, ma non per questo da bocciare. Probabilmente il progsters più “scafato” bypasserà senza indugio e senza neanche ascoltarla questa ennesima prova di Lang e soci. Quelli più di “bocca buona” o gli inguaribili romantici una chance la concederanno e qualcosa di buono sicuramente troveranno in questi cinquanta minuti di “Tales from outer space”.



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Valentino Butti

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