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FOCUS Focus 11 Focus Music 2018 NL

E con questo fanno undici, come da titolo. Correva l’anno 1969 quando il flautista (nonché organista/ pianista /cantante) Thijs van Leer ed il chitarrista Jan Akkerman davano vita alla band, pubblicando l’anno seguente l’eterogeneo debutto “In and out of Focus”, con alcuni brani comunque validi. A quel punto, la vicenda del gruppo olandese prende una piega decisamente curiosa: Akkerman lascia i vecchi compagni e si unisce ad altri musicisti, tra cui l’amico batterista Pierre van der Linden. I Focus, come si suol dire, rimangono al palo e ben presto il polistrumentista van Leer finisce per essere lasciato completamente solo. Non gli resterà che unirsi ad Akkerman e soci, chiamandosi nuovamente… Focus! La band, rinnovata, porta avanti un prog che finalmente comincia a riscuotere consensi; anche se per l’uso del flauto sarà inevitabile l’accostamento ai Jethro Tull, lo stile dei “tulipani” risulterà più sinfonico, per certi versi decisamente fiabesco. Negli anni a venire, dopo i successi soprattutto in ambito live, Akkerman se ne andrà nuovamente (nel frattempo, van der Linden aveva già mollato), lo stile diverrà sempre più commerciale, ci si ritirerà a fine anni ’70 per poi riapparire nel 2003 con “Focus 8”, riprendendo quasi regolarmente l’attività discografica tre anni dopo, senza il chitarrista fondatore ma nuovamente con Pierre van der Linden stabilmente dietro le pelli. Le nuove proposte sembrano al passo coi tempi, soprattutto dal punto di vista della produzione, continuando comunque a portare avanti un sound inequivocabilmente identificabile con quello tipico della band. Come già accaduto in precedenza, la copertina è opera di Roger Dean, il cui stile personale non può non far tornare in mente quelle realizzate per gli Yes, divenendo un marchio identificativo del gruppo stesso.
L’iniziale “Who’s Calling?” è un rifacimento del pezzo omonimo che Thijs van Leer pubblicò assieme a Jan Akkerman nel 1985; la nuova versione dura poco meno della metà dei ben quindici minuti dell’originale, risultando molto veloce, più essenziale, decisamente meno eterea e noiosa, con l’aggiunta di bell’assolo di chitarra finale ad opera di Menno Gootjes. “Heaven” denota la tipica “ingenuità” fiabesca e ritmata del gruppo, con una seconda parte più jazzata. “Theodora na na na” sviluppa ancora di più questa tendenza fusion, quieta e complessa allo stesso tempo, dettata dal pianoforte su controtempi di batteria, tra note di basso fretless del nuovo Udo Pannekee e poi anche di chitarra. Dal canto suo, “How Many Miles?” è l’unico brano con un cantato che non consista in meri vocalizzi. L’inizio sembrava divertente, ma la parte cantata suona poi decisamente piatta. Per fortuna “Mazzel” è un pezzo jazz/fusion molto brioso, seguito da “Winnie”, sorta di ballata atipica sulla scia di “Theodora…”, mentre “Palindrome” è formata da parti suonate all’unisono dagli strumentisti coinvolti, dando spazio alla batteria incentrata su un andamento regale sempre da fiaba. Buona anche “Clair-Obscur”, con la successiva “Mare Nostrum” – l’unica del lotto ad essere composta da Pannekeet e non dal leader van Leer – che si segnala tra gli episodi migliori, connotata com’è da una musica avventurosa e dotata di buoni assoli. “Final Alysis” ne sembra una continuazione, concludendo poi con “Focus 11” sullo stile dello Steve Morse più quieto e sognante di “High tension wires”. La composizione va via via prendendo una piega sempre più solare, allegra, ben dettata dalle note della chitarra e del pianoforte.
Beh, questo nuovo lavoro dei Focus si è lasciato ascoltare molto piacevolmente e siccome non si vuol certo chiedere loro una particolare capacità di innovazione, il parere sul risultato finale non può che essere positivo. Non ci si aspetti chissà quale prodigio, ma è lecito accostarsi a quest’album sapendo che è suonato bene, con entusiasmo (certo non molto energico…) e con una buona dose di allegria.



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Michele Merenda

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