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JORDSJØ Nattfiolen Dark Essence Records / Karisma Records 2019 NOR

Credo che il termine “underground” sia il più adatto a definire l'anima di questo gruppo, che poi è un duo, nato nel 2014 dal sodalizio fra il multistrumentista Håkon Oftung (voce, flauto, chitarra, Hammond M100, Mellotron, Clavinet D6, Arp pro Soloist), meglio conosciuto nel nostro universo musicale per una collaborazione con i Tusmørke nell'album “Bydyra”, ed il batterista Kristian Frøland. Non solo la musica ha un impatto di genuinità ed immediatezza che solo un'esibizione dal vivo in un buio scantinato davanti a pochi avventori può offire ma anche il supporto scelto per la sua pubblicazione appare decisamente antiquato. Praticamente tutte le opere realizzate dal 2015 a questa parte prendono vita su cassetta, come veri e propri demo in tiratura limitatissima, per poi giungere soltanto in un secondo momento alla ristampa su vinile e alla diffusione in formato digitale. Parliamo prima di tutto di “Jordsjø I” e “Jordsjø II” (2015 e 2016) ma anche dello split album col gruppo Breidablik che risponde al titolo di “Songs from the Northern Wasteland” ed infine di “Jord” (2017) che viene riproposto finalmente su CD a un anno dalla sua nascita dalla Karisma (vedi relativa recensione su queste pagine). Ma è anche il caso di questo “Nattfiolen”, uscito in prima battuta in formato di amatissima cassetta nel 2018 e poi su CD e vinile.
Perché tanta ansia di ascoltare la musica di un gruppo che sembra non troppo interessato alla diffusione delle proprie creazioni? Senza dubbio per la loro genuinità, come affermato in apertura, ma anche per uno stile musicale particolarmente amato da un'ampia fetta di Proggofili che ci porta direttamente in terre nordiche lungo sentieri già battuti da Landberk, Änglagård, i già citati Tusmørke o i Wobbler. Godiamo quindi di scenari sinfonici dai tratti cupi, con ampie contaminazioni psichedeliche e dalle profonde venature folk di ispirazione nordica. Le sonorità tastieristiche, con bei momenti Mellotronici, sono ben rappresentate anche se mai preponderanti e straripanti ma emergono anche eleganti intarsi di flauto e melodie semplici e brillanti disegnate dalla chitarra. Il cantato è invece qualcosa di gradevole ma spento, che sprofonda quasi dietro agli strumenti. La rimasterizzazione ad opera di Jacob Holm-Lupo sicuramente contribuisce a dare risalto a tutte queste caratteristiche.
L'opera entra in contatto con l'ascoltatore in modo garbato, senza travolgerlo ma avvolgendolo gradualmente con suoni e sensazioni che sembrano ricondurci verso una natura fredda e desolata, affascinante ma impenetrabile al tempo stesso. L'incipit, una brevissima e rarefatta “Overture”, con piano e flauto, ha proprio la funzione di farci entrare in sintonia col mood dell'album e ci connette subito con le atmosfere grigie e sognanti che domineranno l'intera opera. ”Stifinner” appare dapprima sgargiante e sinfonica con le sue colorazioni prevalentemente acustiche attraversate da gocce di elettricità. Il flauto illumina molto gli spartiti brumosi di questo pezzo dalle contaminazioni folk che ci ricordano gli Änglagård nei loro momenti più delicati, anche per i giochi percussivi e gli interventi del Mellotron, con suggestioni che ci trascinano attraverso paesaggi boschivi dove la natura prende il sopravvento. A differenza dei cugini svedesi, ma anche degli altri gruppi di riferimento che ho citato, gli Jordsjø appaiono sicuramente meno energici e generosi nei dettagli, anche se questo brano in particolare ci offre molte variazioni in appena 7 minuti di durata. Una sensazione di freddo e nebbia spira in modo sinistro fra le note di “Solens Sirkulaere Sang” che, con i suoi riflessi etnici, offre scorci dal fascino pagano. Non vale la pena soffermarci troppo su “Septemberbål”, fugace intermezzo per sola chitarra, mentre vale la pena commentare la successiva “Mine templer II” per le sue melodie sinuose e le pennellate lisergiche interrotte da un intermezzo strumentale rigoglioso, dominato da un piano suonato con tocco Emersoniano. Altrettanto interessante si rivela “Till Våren” con i suoi 9 minuti di durata che svelano impasti ruvidi fatti di organo, flauto e Mellotron, innesti folk decisi ed atmosfere descrittive ingentilite da una chitarra limpida. Le sue trame leggere e sognanti ci accompagnano verso la conclusiva “Ulvenatt”, ballad notturna che ci permette di raggiungere 40 minuti di musica complessiva di cui sicuramente sentiremo la mancanza una volta spento il lettore.
Forse la proposta di questo nuovo album è meno densa di chiaroscuri rispetto al precedente ma le caratteristiche per interessare una certa platea di ascoltatori ci sono tutte. Le colorazioni sono piacevoli, gli spartiti sono in ogni caso interessanti, mancano forse i colpi di scena, i passaggi che ti tengono col fiato sospeso e l'effetto sorpresa per chi già conosce questa band ma in definitiva l'ascolto rimane consigliato.



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Jessica Attene

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