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MAD FELLAZ III autoprod. 2019 ITA

Le influenze della band veneta sono decisamente eclettiche e comprendono un po’ tutto il buon Prog classico e meno classico; questo eclettismo, e le varie vicissitudini di una formazione che, a parte il nucleo centrale, cambia continuamente, ha comportato la pubblicazione di tre album piuttosto differenti l’uno dall’altro. Ecco quindi che a fronte dell’uscita della graziosa e dotata vocalist Anna Farronato e del chitarrista americano Jason Nealy, che avevano contribuito ad apportare un forte sapore jazz al precedente lavoro della band, subentrano i nuovi Luca Brighi alla voce e Ruggero Burigo alla chitarra che sembrano integrarsi benissimo in un album decisamente più energico ed oscuro. Entrambi i nuovi acquisti suonavano assieme in un progetto afro-beat e questo si può in parte riconoscere nel feeling generale dell’album che spesso ci riporta ad influenze hard Prog dei ‘70s, con atmosfere psichedeliche che ombreggiano discretamente sulle armonie strumentali e le influenze jazz che sono comunque sempre ben presenti.
Assieme a questi due nuovi musicisti la band usufruisce in questo nuovo lavoro del consueto, ma addirittura ampliato, numero di ospiti ai fiati (che vanno ad aggiungersi a quelli di Rudy Zilio) e ai violini, presenti soprattutto nella settima ed ultima traccia dell’album, la lunga “Sweet Silent Oblivion”, che beneficia quindi di questa piccola orchestra dipanandosi in modo quasi ipnotico per 10 minuti, con umori psichedelici avvertibili sia nei momenti di musica più orchestrata che nelle variazioni quasi kraut che contraddistinguono la seconda metà, interamente strumentale, del brano. Si tratta dell’unico brano di lunga durata di quest’album, decisamente più sintetico del precedente da questo punto di vista.
Ma l’album inizia, come detto, in maniera del tutto differente; “Es / Frozen Site” ci cala in realtà decisamente più hard Prog, con un robusto prologo strumentale che poi ci introduce a far la conoscenza col nuovo vocalist… il quale cambia decisamente registro nella successiva “Leaf”, bel brano che si avvia su toni più delicati, con belle parti di flauto, per poi svilupparsi in lieve crescendo, con ritmiche abbastanza complesse e un vago sapore afro-funk.
“Liquid Bliss” si avvia su un riff apparentemente ispirato ai King Crimson per poi proseguire su atmosfere funky e fusion, con cantato e chitarra che sembrano gigioneggiare indolentemente sulla stessa falsariga; un brano abbastanza lungo che riesce a mantenere comunque un bel groove per tutta la sua durata. Due brani molto brevi seguono poi uno di seguito all’altro; un excursus strumentale ed una delicata ballad acustica che sono senz’altro piacevoli ma molto brevi e poco più che intermezzi.
La parte conclusiva dell’album ci riserva “Frost”, aperta dal suono del sitar elettrico e in cui una maggior presenza delle tastiere apporta un forte aroma Prog sinfonico, appena contaminato da una chitarra jazz. Notevoli anche gli intermezzi psichedelici tra le varie parti della canzone che sale e scende con moti repentini, sfumando poi lentamente e delicatamente.
Tempo per l’ultima traccia, di cui abbiamo già parlato, e questo bello ma breve album termina. Siamo di fronte ad una prova che denota una maggior maturità compositiva rispetto ai lavori precedenti, che integra ed assimila i nuovi innesti i quali, a loro volta, contaminano con la loro sensibilità musicale un equilibrio ancora in fase di assestamento. Di certo l’album precedente presentava attrattive molto più immediate ed immediatamente apprezzabili; questo lavoro manca forse del cosiddetto colpo del KO ma si riesce ad apprezzare comunque l’eclettismo che la band dimostra ancora una volta e il risultato magari necessita di un’attenzione (e un ascolto) maggiore.



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Alberto Nucci

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