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EVELINE’S DUST k. Giant Electric Pea 2019 ITA

K. è la storia di una giovane ragazza gravemente ammalata che, nella sua quotidiana lotta contro la malattia e le difficoltà che questa le comporta, scopre via via di possedere una forza che non solo la aiuta ad andare avanti ma che, grazie a tutte le persone che la circondano o che la incrociano brevemente (anche quelle che in qualche modo la feriscono), riesce a sviluppare una forza contagiosa che concretizzerà nel canto, coinvolgendo tutti coloro che le stanno attorno con la sua voce forte ma fragile, esorcizzando in questo modo i demoni della sua infermità.
Questo è in sintesi il concept di questo secondo full-length della giovane band pisana, registrato in formazione immutata rispetto all’esordio di “The Painkeeper” del 2016 e materializzato attraverso 7 canzoni che ci mostrano una band sicuramente maturata ma le cui caratteristiche musicali confermano quanto abbiamo avuto modo di ascoltare nel bell’esordio, anche se qui non possiamo non notare qualche spigolosità e distorsione in più. Il quartetto è ancora composto quindi da Nicola Pedreschi (tastiere e voce), Lorenzo Gherarducci (chitarra e cori), Marco Carloni (basso) e Angelo Carmignani (batteria), ad essi si aggiungono per l’occasione gli ospiti Lorenza Catricalà, voce solista su un brano e cori, Federico Avella (sax soprano e flauto) e Nicolò Zappavigna (violoncello).
Senza dubbio si parla di Prog sinfonico come base iniziale di partenza, a metà strada tra King Crimson e Banco, ma di carne al fuoco ne è stata aggiunta un bel po’, incorporando riferimenti a Porcupine Tree e Spock’s Beard, al jazz e alla musica c.d. alternative ed indie, dando vita ad un album vivace, infuso di energia e vitalità ma anche di malinconia, abbastanza facile da assimilare anche al primo ascolto ma delizioso da scoprire passo passo, seguendo le liriche del booklet.
Nelle tracce iniziali, “A New Beginning” e “Fierce Fear Family”, sfumature fusion tingono, grazie anche ad un bel piano elettrico, un brano dinamico su cui un cantato non oppressivo si innesta piacevolmente su una struttura che rimanda un po’ agli Spock’s Beard. La successiva “Hope” si avvia come una delicata ballad basata su una chitarra arpeggiata che piano piano sale di tono e di intensità per poi mutare ed acquisire nuovamente caratteristiche jazz in una seconda metà del brano decisamente staccata dalla precedente, con ritmiche brillanti e bei passaggi strumentali.
La title track è la più breve del lotto ed anche quella in cui la componente alternative fa maggior mostra di sé, con un finale frenetico e una batteria decisamente metal. Tutto rallenta con “Lost in a Lullaby”, brano mid-tempo impreziosito nella parte centrale da un bell’assolo jazz di chitarra, con un finale in cui le distorsioni tornano prepotentemente a movimentare l’ascolto. Ancor più melliflua invece risulta “Faintly Falling”, bel brano dolce e piacevolmente malinconico in cui la delicata ed emozionante voce di Lorenza Catricalà, una chitarra vibrante ed il violoncello sanciscono uno dei punti più alti dell’album.
Il finale è affidato alla lunga “Rain Over Gentle Travellers” che inizia praticamente com’è finito il brano precedente, pur col ritorno della voce di Pedreschi, carica di malinconia e dolce tristezza. Come già accaduto, la seconda parte del brano si trasforma completamente, acquisendo dinamismo, sfumature jazzy e ritmiche in crescendo. Le liriche fanno intuire che la storia della ragazza sta giungendo alla sua naturale fine ma non c’è traccia di rabbia né di rimpianto nelle parole.
Your voice I want to hear, your smiles I need to see, my time has come and I will fly”.



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Alberto Nucci

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