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ALDI DALLO SPAZIO Quasar Jolly Roger Records 2019 ITA

Con un nome di questo genere (da notare che la parola ALDI sta per Awesome Lysergic Dream Innovation), supportato dal titolo scelto per l’album, non è molto difficile indovinare, almeno in linea generale, il genere musicale che questo gruppo andrà a proporci. Lo space rock tuttavia non è che una delle componenti della loro musica, riuscendo i 5 ragazzi di Ravenna ad infilare nel proprio calderone anche non pochi elementi di Prog sinfonico e rock classico che vanno piacevolmente ad arricchire il suono delle 5 canzoni, tutte di durata medio-alta, di questo loro album d’esordio (autoprodotto nel 2017 e ora oggetto di adeguata ristampa e distribuzione). Una delle tracce addirittura presenta alcune gradevoli ed accattivanti sonorità jazz-rock e funky latino; qual è il titolo di questa traccia? “Santana (A Freedom Song)”… tutto si spiega.
L’avvio affidato a “Long Time Lover”, il brano forse meno spacey del lotto e quello più vicino al Progressive sinfonico, con belle tinte hard a tratti davvero trascinanti ma mai molto prolungate, prediligendo la band destreggiarsi tra stop e ripartenze ad effetto. La successiva “The Distance” è una delle due tracce che supera i 10 minuti e scende decisamente in territorio psichedelico, con atmosfere dilatate, arpeggi brumosi e un cantato etereo. Il brano sembra più volte crescere per poi giungere ad un’esplosione… che tuttavia non avviene veramente mai, venendo sempre bloccata di lì a poco, iniziando una nuova sezione di quello che ha tutta l’apparenza della narrazione di un viaggio spaziale.
“Little Piggy Will” ci offre all’ascolto un brano psichedelico di fine anni ‘60 dalle sonorità a tratti carezzevoli ed angeliche ma con belle distorsioni, un po’ a metà strada tra Caravan e Led Zeppelin. La già citata “Santana”, che vede la presenza di un sax che non ha certo un ruolo di contorno, oltre alle sonorità funky, presenta momenti e variazioni musicali davvero intriganti, con un groove encomiabile, anche se, come sempre, spesso troncati bruscamente.
Il finale è affidato alla lunga “Epiphany”, quasi 12 minuti (che nella versione su CD diventano 16) che impegniamo in un altro viaggio spaziale che ci fa toccare varie tipologie di pianeti: da quello floydiano al sinfonico, in un percorso coerente e convincente che ci porta verso la conclusione di quest’album fortemente legato agli anni ’60 e ’70, anni in cui, come sappiamo, la musica non si auto-ingabbiava all’interno di un cliché musicale ma i musicisti si ritenevano liberi di spaziare e sperimentare. Questi sono gli intenti di questa band che ha confezionato, a mio parere, un lavoro prevalentemente convincente, pur forse senza sfondare e lasciando un minimo di senso di insoddisfazione nell’ascoltatore. Il tempo, tuttavia, è dalla loro parte.



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Alberto Nucci

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