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ABRAXIS Abraxis I. B. C. 1976 (Replica Records 2019) BEL

Siamo a Bruxelles nel 1976 quando Charles Loos (Fender Rhodes, Minimoog e piano) e Jean-Paul Musette, che avevano suonato nel primo album dei Cos, “Postaeolian Train Robbery” (1974), abbandonano il gruppo madre prima dell’uscita del secondo lavoro. Entrambi vogliono suonare musica più vicina al jazz e gli Abraxis nascono come naturale conseguenza di questo desiderio. I loro alleati sono Dirk Bogaert (flauto) e Jack Mauer (batteria), entrambi provenienti da Waterloo e Pazop, ed il chitarrista Paul Elias.
Quello di cui parliamo, uscito all’epoca per una sussidiaria della EMI Benelux, la International Bestseller Company, rimane l’unico album degli Abraxis, e si configura come un’opera strumentale dai tratti jazz rock e fusion, con reminiscenze Canterburyane ed elementi di musica classica. Se l’opener “Clear Hours” con le sue melodie limpide, le nuance Cameliane, i ritmi fluidi, gli assoli di flauto, chitarra e Minimoog che si intrecciano con garbo, incarna una formula soft fusion piacevole ma senza grosse sorprese, andando avanti verso la mini-suite “Valse De La Mort / A Boire / Et à / Manger”, posta a chiudere il lato A del vinile, scopriamo la vera essenza artistica di questo album. L’incipit è delizioso e sinfonico col pianoforte ed i timidi arpeggi di chitarra acustica a fare da cornice al flauto leggiadro. Prevale un approccio minimalista dove il flauto si interseca col piano in veloci tratteggi e deliziose divagazioni. In queste sequenze musicali poco strutturate e volatili, di stampo cameristico, si nota la fantasia compositiva di Loos che si dimostra creativo ed audace col pianoforte che ci regala impressioni che ci riportano a Debussy in quello che sembra il palcoscenico ideale per le sue evoluzioni. Anche il flauto finisce col trovarsi da solo al centro della scena e incontra più in là i ritmi della batteria che scaldano le atmosfere rarefatte di una musica che finisce con l’imbibirsi di tonalità oscure e di fragranze fusion quando entrano infine tutti gli strumenti. La parte conclusiva è ancora delicata, col piano che oscilla fra sfumature jazz e suggestioni classiche. Questo racconto sonoro non lineare ma fruibile costituisce una perla unica nel contesto di questo album e merita da solo l’acquisto di questa preziosa ristampa.
Il lato B si compone di 5 pezzi più brevi di buona fattura ma senza dubbio più canonici rispetto al brano appena commentato. Si parte come una movimentata “Sweetank” dal groove irresistibile, in cui assoli di synth, flauto e chitarra vengono inanellati con gusto e, passando per una soft “Billy the Keith”, dalle tonalità calde e dalle melodie aperte disegnate dal flauto, sfociamo in una festosa “Jeronimo” dalle fragranze sudamericane. “Bolle Winkel” ritmata, schioppettate ed efficace, brilla per i numerosi assoli che si incrociano in segno di sfida e ci colpisce al ritmo di un basso slap elettrico e pulsante. “Arhumba” chiude l’album con melodie rilassate che vedono il piano, grande protagonista, muoversi agilmente sullo sfondo di archi soffusi.
Una prima ristampa di questo album giunse soltanto nel 2015 per la tedesca Paisley Press e questa ottima versione in vinile rende giustizia ad un’opera ben costruita che offre spunti interessanti.



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Jessica Attene

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