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IL GIARDINO ONIRICO Apofenia Lizard Records 2019 ITA

Il Giardino Onirico si era già fatto apprezzare molto con due validi album, ma nonostante queste premesse nulla lasciava presagire la bomba che avrebbero sganciato con la terza prova discografica. Già, perché lo anticipiamo subito: "Apofenia" è una bomba. Si tratta di un lavoro trascinante e ai limiti della perfezione, con un sound che migliora e amplifica quanto di buono la band aveva già fatto. Il cd contiene quasi un'ora e venti di musica infuocata, brillante, coinvolgente, suddivisa in sette brani di ampio respiro, articolati e tutti bellissimi. Lo stile? Un heavy prog sinfonico con svariate contaminazioni, che raramente si avvicina al metal, prevalentemente strumentale, moderno, ma in realtà difficile da inquadrare in confini precisi. Spesso chi prova a prendere una strada simile si perde e fa confusione. Non è questo il caso; il gruppo mostra di avere idee in quantità e ben chiare. E per un disco così diventa necessario un approfondimento di un certo tipo sui contenuti, che andiamo ora ad analizzare. Fin dalla prima traccia "Onironauta" veniamo catapultati in un mondo sonoro che fa presa immediata, cattura l'attenzione e fa intuire in pochi istanti che siamo di fronte a qualcosa di importante. Una lenta introduzione onirica (è proprio il caso di dirlo) fa salire la tensione per circa due minuti, poi la deflagrazione con un riff abrasivo di chitarra elettrica ed un labirinto di suoni e colori spaziali fanno sognare e fanno vedere in lontananza gli Ozric Tentales in una versione multivitaminica. Si passa a "Scivolosa simmetria", brano più breve del lotto (quasi otto minuti!) e primo cantato, da Alessandro Corvaglia, noto, tra le numerose esperienze, per essere il vocalist della Maschera di Cera. La partenza è subito veloce, ritmi tirati, un certo nervosismo, con tastiere e pianoforte che contrastano il ruggito della sei corde e della batteria. L'entrata della voce spinge il pezzo su binari più consoni al classico prog italiano, che però il gruppo spinge abilmente nel ventunesimo secolo. Siamo già a due brani di alto livello, si mantenessero queste medie si andrebbe incontro a un grande album. E invece il livello aumenta ancora con "Alétheia"! In quasi tredici minuti il Giardino Onirico mostra come nel 2019 si possa arrivare alla realizzazione di un progressive rock che sia infarcito di inventiva, fantasia, solidità, personalità. Stavolta si parte con la melodia, con un piano delicato e gli arpeggi di chitarra, ma l'andamento è in crescendo e quell'aria di serenità che si respira inizialmente si tramuta pian piano in qualcosa di più minaccioso. La chitarra inizia a dettare un riff che trasmette inquietudine e la sezione ritmica scandisce tempi su cui tutti i musicisti possono sbizzarrirsi con trame accattivanti mostrando la loro bravura. Si inserisce anche un sax a dare ulteriore brio lanciandosi in assoli incrociati con la chitarra; ritorna il riff guida che si trasforma in un altro tema molto suggestivo e, tra altre diavolerie che si inseriscono alla perfezione, compreso un coro, si arriva ad un finale esplosivo, complice anche il drumming particolarmente esuberante. Nemmeno il tempo di respirare ed ecco uno dei momenti clou di "Apofenia", se non proprio il picco assoluto, intitolato "Mushin". Anche qui si parte con un'atmosfera misteriosa, grazie ad un sound che ricorda alla lontana i Portishead e ad una chitarra in sordina; poi entra la sempre suadente voce di Jenny Sorrenti e si incrementa ulteriormente la bellezza del brano, cantato in inglese. Si va avanti con questo mood, ma troviamo variazioni di tempo e di intensità, intrecci sonori stupendi, suoni che riportano al miglior new-prog che poi si trasforma con inserti elettronici, mentre la divina vocalist continua una performance d'eccellenza diventando in alcuni frangenti protagonista assoluta. Dopo un momento così elevato, sembra quasi normale "Apogeo", altra composizione di valore nella quale si avvertono e si mescolano senza confusione alcuna gli insegnamenti di Pink Floyd, Genesis (ascoltate certi slanci di tastiere), IQ, Steven Wilson, Fabio Zuffanti, Van der Graaf Generator (si inserisce nuovamente il sax). "Un nodo nell'anima", in cui ritorna Alessandro Corvaglia, abbina vivace rock sinfonico all'italiana ed heavy-prog e offre sensazioni simili a quelle dell'altro brano in cui si era già esibito il cantante, che si conferma uno dei migliori degli ultimi lustri qui in Italia. Quattordici minuti per "Lacrime di stelle", a cui è affidato il compito di portare a termine il cd. È un po' la summa del discorso musicale affrontato nell’intero album dal Giardino Onirico. Un insieme di soluzioni strumentali fantastiche, riff, tempi vari e composti, solos, intrecci, momenti di puro romanticismo alternati ad altri in cui si avverte un'energia più vibrante, in uno scorrere fluido e naturale, fino ad arrivare all’apoteosi finale per questa che è una delle composizioni più esaltanti del lotto (e, come avrete capito, è una bella lotta!). “Apofenia” poteva risultare pesante perché sfiora un’ora e venti di durata, perché il suono è spesso “heavy”, perché è prevalentemente strumentale, perché è impegnativo da seguire; invece scorre via con piacere e pesantezza proprio non se ne avverte. Ad emergere, piuttosto, oltre alla bellezza della musica sono la personalità e l’amalgama di un gruppo preparatissimo che non indulge nell’autocompiacimento, rischio che c’era, e che vede una formazione inusuale con due tastieristi (Dariush Hakim e Emanuele Telli), un chitarrista (Stefano Avigliana) e la sezione ritmica (Ettore Mazzarini al basso e Massimo Moscatelli alla batteria e alle percussioni). Siamo al cospetto di una band che aveva già mostrato un certo valore, ma che con "Apofenia" ha fatto un salto triplo in termini di qualità; non stiamo parlando di un capolavoro assoluto, ma “solo” di quello che, per distacco, è il miglior album italiano del 2019.



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Peppe Di Spirito

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