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METRONHOMME 4 autoprod. 2019 ITA

Come indica correttamente il titolo, si tratta del quarto lavoro di questa band di Macerata che, tuttavia, fino ad adesso era del tutto sconosciuta a tutto l’ambiente Prog. Che fine hanno fatto i tre album precedenti, dunque? In verità i primi tre lavori di questa band, che esiste dal 2003, sono in pratica colonne sonore di altrettanti spettacoli teatrali, uno solo dei quali, a quanto mi è dato capire, pubblicato su CD. Questo quarto lavoro dunque è il primo non legato a una rappresentazione multimediale e concettuale ed è stato inoltre pubblicato in forma fisica solo su LP, anche se ascoltabile gratuitamente in rete.
L’album consta di 11 tracce piuttosto brevi, tutte strumentali, che fanno raggiungere una durata, adeguata alla sua forma vinilica, di circa 42 minuti, suonato dai 4 membri del gruppo (Mirco Galli al basso, Tommaso Lambertucci al pianoforte e synth, Andrea Lazzaro Ghezzi alla batteria e Marco Poloni alle chitarre) cui si aggiungono i contributi dei due ospiti Paolo Scapellato alle tastiere e Manuele Marani al contrabbasso su una traccia.
La musica contenuta in questi solchi viene definita libera, in cui la parte Prog non rappresenta che la parte emersa dell’iceberg. In effetti troviamo composizioni decisamente influenzate dal jazz, con componenti psichedeliche appena accennate, brevi momenti hard rock, con aperture alle sperimentazioni sonore ma comunque con un ascolto immediatamente fruibile e non certo particolarmente impegnativo. La componente cinematica e l’attitudine a comporre colonne sonore della band è sicuramente percepibile anche in questo lavoro che, a volte, sembra raccontare senza parole una storia di cui possiamo solo intuire le caratteristiche leggendone il titolo. I quali titoli non appaiono comunque certamente banali o scevri di indicazioni in tal senso, vedi ad esempio “R.I.P. Bryan Diy (Get the Rid of the Bishop)” o anche “Uccideresti l'uomo grasso?”.
Notiamo una certa somiglianza di fondo, se vogliamo, in quell’altro bellissimo progetto dall’ispirazione fortemente cinematica qual è quello dei francesi Ghost Rhythms, sebbene in questo caso notiamo uno sviluppo decisamente più limitato delle idee musicali o, quanto meno, un respiro diverso delle composizioni, più concitato forse, di certo meno legato (in questo caso) a una rappresentazione visuale.
Un album piacevole senza alcun dubbio, forse non particolarmente incisivo o accattivante ma in cui l’esperienza del gruppo è comunque tangibile.



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Alberto Nucci

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