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WISH Stay here my friends autoprod. 2019 ITA

Primo album per i Wish, non certo giovanissimi dato che il primo nucleo della band risale addirittura al 1992. È dal 1997 però che le cose iniziano a definirsi, con uno stile orientato decisamente al progressive degli anni '70 e '80. C'è voluto un po' di tempo per arrivare all'esordio, ma "Stay here my friend" è un concept basato sull'amicizia che si presenta bene sotto l'aspetto grafico, con un cd-digipack apribile a tre parti, un artwork curato a tema fanta-storico-tecnologico, foto ben fatte, testi e crediti. I musicisti si mostrano anche indossando maschere e o col volto truccato, a sottolineare i riferimenti e l'appartenenza ad uno stile musicale datato ma ancora in grado di creare interesse e aspettative. Rifarsi al passato è un rischio, se non lo si fa con coerenza oppure con troppo spirito emulativo. Alla fine, però, quello che conta è sempre la qualità della musica.
È bene precisarlo subito, i riferimenti al passato per i Wish sono totali, sia per quanto riguarda lo stile compositivo che per le atmosfere ed i suoni. Basta l'iniziale "Like a yes", nella quale melodie tutto sommato semplici sorrette da chitarre in overdrive e dall'organo Hammond sono la base di uno strumentale in stile sinfonico che in parte ricorda il prog italiano storico e in parte i Pink Floyd del periodo tra "TDSOTM" e "Animals". Si tratta di un brano gradevole e articolato che fa ben sperare per il resto del disco ma la successiva "Deep wish" a mio avviso ha un suono meno scorrevole, nonostante introduca evidenti elementi new prog. Si tratta di un pezzo lungo e complesso, con varie parti che si incastrano tra loro e nel quale il punto debole più evidente è quello della voce. L'ammirazione del chitarrista Giorgio Simonetti per David Gilmour è palese nell'intro della successiva "Dancing with myself", che diventa poco dopo un altro lungo brano new prog, stavolta meno complesso e con una identità più definita. Interessante anche "Scramble eggs", dove le chitarre dominano e caratterizzano in vario modo un altro brano strumentale molto melodico. "Church" è la traccia più lunga del disco, con atmosfere più dark, momenti divisi tra chitarroni e organo da chiesa, piano e archi, la voce che mostra ancora qualche punto debole e una certa pesantezza d'ascolto mitigata da alcuni momenti più melodici in puro stile italiano. Non aggiunge molto la conclusiva "Stay here my friends", basata sullo stesso stile cupo addolcito da parti più ariose.
Considero "Stay here my friends" un disco interessante e con buone idee, che trasuda però ogni tanto una certa stanchezza e al quale manca uno sforzo teso alla ricerca di una originalità, anche minima, che avrebbe caratterizzato maggiormente i brani. Non aiuta la produzione, a mio avviso penalizzante per il risultato finale, soprattutto per quanto riguarda la batteria. Il suono in effetti sembra "vecchio", ma non in maniera affascinante e nostalgica, e se questo è voluto non sono sicuro sia stata una buona idea.



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Nicola Sulas

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