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EUPHORIA STATION The reverie suite autoprod. 2019 USA

La copertina di un album è storicamente un buon indicatore di un lavoro “prog”, sia essa del supporto vinilico o del più moderno CD. Alcuni artisti sono considerati quasi un tutt’uno con la band di cui hanno illustrato le principali cover dei loro lavori. E’ il caso di Roger Dean e gli Yes, di Paul Whitehead ed i primi Genesis, di Mark Wilkinson e dei primi Marillion, solo per citarne alcuni. Queste caratteristiche non le troverete certo nel secondo album degli Euphoria Station, “The Reverie suite”, pubblicato nel 2019. Una copertina che rimanda piuttosto al folk o al southern rock à la Raging Slab, Brother Cane o Marshall Tucker Band con quella stazione in pieno deserto e quel binario diretto nel nulla…
Il progetto del duo Sassi (voce) e Hoyt Binde (chitarre, banjo, mandolino, cori) nasce con le prime esperienze live nel 2014 e si concretizza con l’esordio discografico di “One heart” del 2017. Per “The Reverie suite” il duo si è avvalso della collaborazione della “The Americana Daydream Revival Orchestra” che ha portato in dote archi, flauto, armonica, Hammond, oltre alla sezione ritmica di basso e batteria.
Un album ibrido, in cui la contaminazione di generi, di influenze, di suggestioni è alla base dei dodici brani che compongono questa sorta di concept album basato sulla vita di Saskia. Ecco, dunque, il folk fondersi con lo hard rock, il country con un progressive più “canonico” e con il blues ed altro ancora. Insomma, di tutto un po’, con una spiccata attitudine melodica che mette in evidenza le doti canore di Saskia e l’eclettismo e l’abilità di Hoyt nel creare le giuste atmosfere atte ad amplificare le qualità della compagna. Se vi ritrovate in una siffatta commistione di stili ed “essere progressive” significa ANCHE questo, allora “The Reverie suite” è l’album che fa per voi. Se, invece, la carne al fuoco è davvero troppa e certe sonorità tipicamente americane sono troppo borderline per i vostri gusti, beh passate oltre. Anche se “Prelude/She’s calling”, lo strumentale iniziale, potrebbe convincervi a proseguire l’ascolto dell’album. E’ vero c’è l’armonica che accompagna l’acustica ma, ben presto, parte un “riffone” dell’elettrica che ricorda gli Spock’s Beard e poi il violino che “sapora” di Kansas ed ancora il flauto ad allargare ulteriormente i confini… per non parlare del banjo…
”Reverie”, la traccia seguente, mischia il folk, il country, la ballata tradizionale con un pizzico di rock ed è splendidamente interpretata da Saskia. Un brano “disimpegnato” davvero grazioso. Bella anche “On my way” con un piacevole ritornello ed anche qui, qualche incursione nella musica tradizionale americana. Si entra nel pop di qualità con “Heartbeat”, nel rock da FM con “Bridge of dreams”, mentre “Queen of hearts” è un altro convincente strumentale con flauto, violino e la felice convivenza tra elettrico ed acustico. Quando poi il progetto si confronta sulla lunga distanza, ad esempio nei dieci minuti di “Paradise road”, ecco che entrano in ballo una spruzzata di AOR ed un pizzico di “southern”, quello più soft e meno “sudato”. Non male anche “Seasons” prevalentemente acustica con ancora la voce di Saskia in bella evidenza. Splendida “Reprise”, breve e struggente brano per voce e piano e pure “Remind me”, cavalcata strumentale che sa di highway del sud-ovest, complici il violino, l’armonica ed il flauto. In chiusura le solari melodie di “Content” che mettono la parola fine ad un album particolare, intrigante, magari non sempre completamente “a fuoco”, ma sufficientemente mainstream da poter attirare l’attenzione di una fascia di pubblico non necessariamente “malato” di progressive classico. Insomma: divertente.



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Valentino Butti

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