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SINTONIA DISTORTA A piedi nudi sull’arcobaleno Lizard Records 2020 ITA

La band è stata fondata a Lodi a metà degli anni ’90… ma molte cose sono nel frattempo cambiate dalle prime note suonate dalla band. Innanzi tutto i musicisti: i soli Simone Pesatori (voce) e Fabio Tavazzi (basso) sono rimasti nel corso degli anni a portare avanti il nome, cercando ogni volta di reclutare nuovi musicisti che rimpiazzassero adeguatamente quelli che di volta in volta lasciavano il progetto. E’ cambiata anche la musica, passata attraverso tendenze hard rock e power metal fino a giungere, agli inizi degli anni 2000, ad un Prog dalle sonorità hard che ha portato la band al suo primo contratto discografico (dopo alcuni demo e CD autoprodotti) con la pubblicazione di “Frammenti d’Incanto” nel 2015, album il cui ascolto mi aveva lasciato decisamente indifferente.
Per questa seconda prova, preceduta dai soliti cambi di formazione che hanno portato gli ennesimi nuovi nomi ad occuparsi di chitarra e batteria, la band pare aver fatto buon uso dell’esperienza acquisita ed ha cercato di migliorare ed arricchire il proprio suono, grazie anche all’innesto di Marco Miceli (flauto e sax) e a un’attenzione per gli arrangiamenti che consente questa volta di apprezzare a dovere sia il cantato che le atmosfere create per le sei canzoni di cui è composto l’album. Piccole ciliegine su questa torta sono le presenze in qualità di ospiti di Roberto Tiranti, dei chitarristi Paolo Viani (ex Black Jester) e Luca Colombo, di un intero coro (I musici Cantori di Milano) nonché della produzione di Fabio Zuffanti.
La proposta musicale, pur mantenendosi su connotati hard Prog, sembra essersi parzialmente ingentilita, complice anche la presenza, come si diceva, di un flauto che spesso si fa decisamente sentire e che comunque non si limita a parti delicate ed elegiache ma pretende esso stesso la sua dose di epicità, anche unendosi alle cavalcate rockeggianti che alcune tracce sfoderano con orgoglio.
Ottima e trascinante la lunga traccia iniziale (“Solo un Sogno”), più poetica e delicata la bella title track, in cui cominciamo anche ad apprezzare l’ottimo lavoro di tastiere da parte di Giampiero Manenti (completano la band Claudio Marchiori alle chitarre e Giovanni Zeffiro alla batteria). Trascinante ma non completamente convincente la successiva “Alibi”, malgrado belle parti strumentali che, per via del flauto, ci fanno addirittura pensare ai Flor De Loto. Dopo la breve ballad “Sabri”, gli ultimi due brani dell’album (“La Rivincita di Orfeo” e “Madre Luna”) ci lasciano in deciso crescendo emotivo.
Come dice anche il buon Zuffanti, parlando di quest’album, le similitudini più scontate che ci troviamo a fare sono quelle col Biglietto Per l’Inferno, è inutile negarlo. La classe dei due gruppi è ovviamente diversa ma occorre dire che il gruppo ha lavorato molto e bene per colmare le proprie lacune e convincere coloro che, dopo l’album precedente, avevano storto la bocca (compreso il sottoscritto).



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Alberto Nucci

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