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SECTILE Falls apart autoprod. 2020 IRL

Suonano parecchio arrabbiati questi cinque ragazzi di Dublino… Nelle note allegate al dischetto scrivono che il loro prog-metal prevede l’abbinamento tra il suono melodico del prog classico con il tradizionale heavy metal, ma non è affatto così. Tutto sembra incentrato sulla copertina, dove si coglie una inquietante sensazione di paganesimo legato a tempi davvero antichi, in cui la Natura veniva vissuta come un’entità ferina, possibilmente a sua volta condizionata da creature ultraterrene per nulla benevole e anzi vicine alla dimensione della morte più cupa. Niente tastiere, soppiantate dalle due chitarre suonate da Mark O'Reilly e Marcelo Varge, che tranne in alcuni casi non si lasciano andare a duelli sulle sei corde ma a riff che macinano rabbiosi, continuamente, sui controtempi del bassista Cormac Hennigan e del batterista Zachary Newman. Su tutti, svetta la voce acuta, spesso in falsetto e anche in questo caso rabbiosa, del cantante Gabriel Gaba.
Formatisi sul finire del 2016, esattamente un anno dopo il quintetto esordiva sul mercato discografico con un EP omonimo. Un paio di anni all’insegna delle esibizioni live, contestualmente dedicati alla stesura dei nuovi brani di questo full-length, la cui inziale “The Hunt” è stata lanciata come single che rispecchia il contenuto della pubblicazione. È vero, qua e là vi sono dei brevi sprazzi di quiete, fattore che indubbiamente nella dinamica generale ha il suo effetto convincente. Ma questo perché vengono creati degli attimi in cui si respira e si smorza l’arrabbiatura. Lo si coglie in “Archetypes” e poi nella successiva “Black Cloud”, dove finalmente le chitarre sfoggiano una parte solista sfruttando l’acuto di Gaba in dissolvenza. Assolo classicamente metal, senza particolari novità sul tema. Le chitarre torneranno con un lavoro analogo su “Daggers”, composizione comunque più complessa e sicuramente tra le cose migliori di questo album. Da segnalare poi i dodici minuti della conclusiva “Dying of The Lights: Purpose/Silence/Aethernity”, che come da titolo è divisa in tre parti. Qui, per esigenze compositive, la quiete giunge improvvisa e permane molto più a lungo, fluendo poi in una fase finale decisamente più ispirata rispetto a tutto il resto.
Ecco, probabilmente i Sectile dovrebbero partire proprio da questo lungo pezzo finale, anche per una maggiore varietà che possa interessare non solo gli heavy metal fans più oltranzisti ma anche quelli che apprezzano il prog-metal, nonostante anche in quest’ultimo genere sia ormai parecchio difficile sfornare qualcosa di davvero originale. Quanto qui proposto potrebbe essere ricondotto allo stile dei Leprous o a una sorta di Dream Theater molto giovani che ancora stanno decidendo che strada prendere, rigorosamente senza i tasti d’avorio che poi avrebbero invece caratterizzato il loro sound. Sarebbe lecito chiedere ai musicisti maggior varietà nella scelta stilistica… e magari tener presente che cantare costantemente su certi toni alti e indiavolati non è sempre apprezzabile. Almeno al di fuori di una ristretta cerchia di ascoltatori.



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Michele Merenda

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