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MRS. KITE Flickering lights Rockwerk Records 2020 GER

E’ uno heavy prog potente al punto giusto, tecnico e addolcito parzialmente da parti vocali che non perdono mai di vista la melodia. La band originaria di Colonia, il cui nome è ispirato al brano “Being for the benefit of Mr. Kite dei Beatles” è al suo secondo lavoro discografico a sette anni di distanza dal debutto “A closer inspection”. “Flickering lights” dura circa sessantasette minuti e contiene dieci tracce, la maggior parte delle quali viaggia tra i quattro e sei minuti e mezzo. In queste si denotano tanti punti in comuni, a partire da riff di chitarra aggressivi, quella vena melodica cui abbiamo già fatto cenno ed aperture più ariose in cui l’atmosfera cambia decisamente. A volte sembra quasi di avvertire un sound “made in USA”, un po’ alla Spock’s Beard per intenderci, dove ci sono stravolgimenti ritmici, ma con un piglio molto più tosto e che sfiora il metal rispetto alla band americana. In altre occasioni, invece, ci sono squarci più spacey e si avverte forte l’influenza dei Porcupine Tree, sia quelli degli esordi che quelli che svoltarono da “Lightbulb Sun” in avanti. Ottima, poi, la ballad “Man in a shed, part II”, che alleggerisce molto i toni e che è un piccolo gioiello di eleganza. Due, invece, le composizioni ad ampio respiro che vanno oltre i dieci minuti. Di queste “The old man” è probabilmente il pezzo forte dell’album, anche se non è esente da difetti. Approfittando della lunga durata del brano, i Mrs. Skite si sbizzarriscono partendo da umori floydiani, con piano e arpeggi di chitarra ad aprire e proseguendo con la vena malinconica dettata dal cantato. La sezione ritmica spinge un lento crescendo in cui si intravedono nettamente i Porcupine Tree di “The sky moves sideways” e dopo un ritorno ai temi iniziali, ecco un tuffo in un sound decisamente più potente, con la chitarra a sprizzare energia. Un nuovo rallentamento fa da preludio ad un’esplosione dove il gruppo si diverte con virtuosismi strumentali tra tempi composti. Il finale non convince del tutto, con l’alternanza di sonorità dure e variazioni stilistiche che spingono anche verso quelle che sembrano forzature di stampo vagamente jazzistico. Il nuovo album del quartetto tedesco lascia buone impressioni, dettate anche dal fatto che i musicisti non esagerano mai con il loro lato heavy e mostrano di voler mantenere sempre una certa piacevolezza d’ascolto. Non siamo certo di fronte ad un lavoro originale, né al talento di Rush o anche Sieges Even, tanto per ricordare anche dei loro validi connazionali, ma siamo certi che gli estimatori del genere gradiranno.



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Peppe Di Spirito

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