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ABEL GANZ The life of the honey bee and other moments of clarity autoprod. 2020 UK

Il nuovo corso degli Abel Ganz, inaugurato nel 2014 con l’album eponimo, vede quest’anno l’aggiunta di un secondo tassello… che formalmente rappresenterebbe il settimo album in studio a nome Abel Ganz. In sostanza, dopo l’uscita di entrambi i membri fondatori, si sta però parlando di una vera e propria nuova band, anche (e soprattutto) da un punto di vista stilistico, formata dai nuovi membri che erano stati reclutati per l’album immediatamente precedente. Tutto era andato bene: i fondatori avevano dato la loro benedizione (anche se Montgomery nel frattempo ha fondato i Grand Tour) e il nuovo corso si guadagnò numerosi apprezzamenti col suo primo album. Questo nuovo lavoro, che era pertanto piuttosto atteso, solo in parte conferma le buone cose ascoltate nell’album precedente.
Siamo ancora alle prese con un pop Prog morbido e leggero, con parti vocali melodiche e musica a tinte tenui, come il precedente lavoro. I ricchi arrangiamenti però stavolta sono decisamente più limitati, così come le incursioni in ambiti musicali diversi ed eterogenei. Facendo partire quest’album ci troviamo alle prese con composizioni comunque abbastanza piacevoli, non dico di no, ma dai toni affabili, con impasti sonori talvolta ammiccanti, di un pop raffinato ed elegante che trasuda amicizia e buoni sentimenti ma comunque, alla resa dei conti, non particolarmente soddisfacente, almeno per quanto mi riguarda.
L’album in effetti è concepito come un concept composto da sei brani interconnessi tra di loro che vogliono esplorare i rapporti con la memoria e le cose perdute. Il risultato, se può essere apprezzato dal punto di vista lirico e ben concepito tecnicamente e creativamente, ci lascia, come accennato, piuttosto insoddisfatti. Se i due brani più lunghi, la title track e “Sepia and White”, quest’ultima di oltre 13 minuti, presentano (specialmente la seconda) dei momenti più interessanti e godibili, le altre composizioni saranno pure funzionali allo sviluppo del concept ma risultano piuttosto pesanti da ascoltare e per contro abbastanza inconsistenti dal punto di vista musicale.
Il sottofondo di archi su cui è costruita la prima parte di “Summerlong” è pure piacevole, così come le leggere atmosfere folk di “One Small Soul”, come ancora la già citata “Sepia and White”, l’unico brano che presenta connotati più tipicamente Prog. L’impressione finale tuttavia mi lasciano un’impressione di pesantezza di ascolto e un senso di insoddisfazione per un album che non è neanche da disprezzare ma da cui ci aspettavamo francamente di più.



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Alberto Nucci

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