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DAYS BETWEEN STATIONS Giants autoprod. 2020 USA

Il duo composto da Sepand Samzadeh (chitarre) e da Oscar Fuentes (tastiere) giunge al suo terzo album, 13 anni dopo l’omonimo esordio e 7 anni dopo al suo successore… non certo un ritmo forsennato di pubblicazioni. Nelle loro release precedenti i nostri avevano saputo aggregare alla loro squadra collaborazioni di alto livello quali Peter Banks, Rick Wakeman, Tony Levin e Billy Sherwood; in questo frangente di questi nomi il solo Sherwood timbra ancora il cartellino, occupandosi delle parti di batteria, di basso, di qualche parte vocale nonché rivestendo il ruolo di co-autore ed arrangiatore. Accanto a lui ci sono anche Colin Moulding (XTC, anch’egli già presente in passato), Durga McBroom (che ha collaborato con Pink Floyd, Steve Hackett e Dave Kerzner) che cantano su una traccia ciascuno e Inid Abiza che offre un po’ di backing vocals sulla prima traccia. Completa l’elenco delle collaborazioni eccellenti Paul Whitehead che ha fornito la sua mano per l’artwork.
La musica che questo strano progetto, in cui un ospite sembra avere un ruolo decisamente maggiore di quello dei due titolari, si muove tra influenze di Yes e Genesis, sia facendo riferimento alle sonorità classiche che a quelle più recenti. Le canzoni in generale hanno sonorità brillanti ed energiche, non tralasciando ovviamente momenti più rilassati e melodici. L’avvio ci porta subito nel clima dell’album con la lunga “Spark”, poco meno di 17 minuti che, assieme all’altra lunga composizione “Giants” (13 minuti… dedicata da Fuentes al padre, recentemente scomparso), rappresenta il core dell’album. Nonostante l’apparente preponderanza di Sherwood, come si diceva, possiamo invece apprezzare l’interessante set di tastiere dello stesso Fuentes ma anche i bei tocchi di chitarra del suo compagno d’avventure. Bello in effetti l’arpeggio sulla seconda traccia “Witness the End of the World”, brano delicato ed ispirato che ci fa rifiatare dopo l’ottimo avvio.
I 9 minuti e mezzo di “Another Day”, ispirato al racconto di Sisifo, rappresentano un altro dei punti focali dell’album, con una chitarra che questa volta diventa hackettiana e sottolinea il cantato di un ispirato Sherwood. Dopo questo brano carico di tensione, la ritmata “Goes by Gravity” sembra voler alleggerire l’atmosfera, rimandando a qualche cosa dei Genesis anni ’80… nel bene e nel male. Torniamo ad alti livelli con la già citata “Giants” che inizia con un bel pianoforte delicato che ci introduce ad un efficace crescendo fino alla parte centrale del brano carico di tensione ed epicità, con assoli di tastiere e chitarra supportati da una ritmica complessa che accresce il pathos del brano, decisamente affascinante per ogni appassionato di Prog.
“The Gathering” ci riporta alla calma, con morbide note di piano che vanno a fondersi deliziosamente con delicate note di chitarra acustica. Il finale è affidato ai quasi 8 minuti di “The Common Thread”, brano a firma di Sherwood e che ne mostra orgogliosamente il marchio di fabbrica.
Un album sicuramente attraente e ben realizzato che corre sicuramente il rischio di essere considerato un album solista di Sherwood stesso a cui i due titolari putativi hanno dato solamente il proprio (valido e consistente, comunque) contributo. Il risultato comunque è premiante e mi sento sicuramente di consigliarlo.



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Alberto Nucci

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