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OMNIPOTENT YOUTH SOCIETY Inside the Cable Temple autoprod. 2020 CIN

Il progressive rock e la Cina sono sempre stati due mondi che non si sono mai piaciuti troppo. Quasi impossibile infatti trovare musica prog proveniente dal mondo sinofono. Potete quindi immaginare il mio stupore nell’ascoltare il nuovo album degli Ominipotent Youth Society, una delle band alternative rock più importanti della Cina. Chiariamolo subito, il disco in questione è prog. Sicuramente contaminato con altri generi: folk, art rock, jazz e tanto altro, ma profondamente prog nell’anima.
“Inside the Cable Temple” è solo il secondo album del gruppo cinese; il primo, che risaliva ormai al 2010, è però stato uno dei dischi più acclamati dalla critica locale, tant’è che una famosa radio cinese l’ha eletto a miglior disco rock cinese di sempre. L’esordio, pur mostrando una certa attitudine ad osare, era tutt’altro che prog, ma “semplicemente” un ottimo disco di Alternative Rock, ancora maggiore è stata quindi la sorpresa.
Chiariamo subito alcune particolarità del mondo musicale cinese: quasi tutti gli artisti hanno un nome in cinese e uno in inglese, lo stesso può valere anche per i titoli degli album. La cosa buffa è che spesso i significati fra loro divergono molto. Ad esempio, mentre il nome cinese della band Wanneng Qingnian Lvdian significa “Ostello della gioventù onnipotente” (quindi abbastanza similare all’alter ego anglofono), il nome dell’album “Ji xi nan lin lu xing”, si traduce in Viaggio nella foresta dello Hebei del Sud Ovest, quindi nulla a che fare con “Dentro il tempio dei cavi”.
Terminate le curiosità, passiamo a presentare la band: a condurla c’è il duo Dong Yaqian (compositore di tutti i brani, cantante e chitarrista) e Ji Geng (paroliere, bassista e polistrumentista) mentre ad assisterli ci sono altri due membri ufficiali della band, il batterista Feng Jiang e il trombettista Shi Li. Tuttavia nel disco sono presenti molti ospiti (in particolare un sestetto di fiati jazz), che arricchiscono di colori la musica. “Inside the Cable Temple” al momento è purtroppo disponibile solo in digitale, ma già il fatto che sia scaricabile in due versioni, una con i brani separati e una in unico brano della durata di 44:22 ci fa capire che può essere visto come un’unica grande suite e forse proprio di prog stiamo parlando. Ad ogni modo a fugare ogni nostro dubbio basta l’incipit del primo brano, Zao”: ci troviamo infatti un delizioso brano cameristico con i fiati in bella evidenza. “Ni he” (“Fiume fangoso”) ha di fatto l’andamento di un fiume, parte quasi in sordina con la chitarra acustica, i violini e una delicata melodia folk e via via diventa sempre più irruento e trascinante. C’è poi un intermezzo strumentale (“Ping deng yun wu”) che ci introduce al quarto brano “Cai shi” uno degli apici dell’album, partendo acustica tra jazz e folk per poi tramutarsi in un pezzo quasi free jazz con sax e piano che si sfidano fino ad esplodere in un roboante finale. “Shan que” e “Rao yue” sono due piacevoli tracce di transizione, tutt’altro che trascurabili, forse quelle più canonicamente in stile prog anni ‘70. E’ però con “Hebei Mo Qilin” che si raggiunge il climax di tutto il disco: 11 minuti di pura goduria prog. E’ il pezzo più complesso dell’intero album, una vera sinfonia rock con venature canterburyane e con qualche rimando ai King Crimson. Troviamo un nutrito gruppo di ospiti, un altro cantante, un quartetto d’archi, sette ottoni, un clarinetto e persino una lira che arricchiscono il caledoscopio di colori della proposta. Ad ogni modo la bellezza di questo brano, ma in generale di tutto l’album, è che pur essendo chiaramente prog difficilmente è riconducibile a qualcosa di già sentito. Il disco si chiude con un altro brano di 10 minuti: “Jiao mian si”, ma in questo caso dall’andamento più lineare e rilassato, che chiude comunque più che degnamente l’opera in questione.
Immagino il fatto che molti puristi potranno storcere il muso che tutto cià venga da una band non non dichiaratamente prog, così come ad alcuni potrà fare poco piacere sapere che l’album stia avendo un successo strepitoso nel mercato discografico cinese (il prog che vende… che eresia!!!), ma a noi poco importa, siamo di fronte ad un album che emerge prepotentemente per ambizioni e qualità, un disco che ci mostra chiaramente come si possa essere prog senza essere nostalgici. Spero vivamente che la bellezza e il successo di questa uscita possa essere da sprono per tante altre band cinesi ad avventurarsi in questi meandri così complessi, ma al tempo stesso gratificanti. Chissà che non sia l’inizia di un bel matrimonio tra uno dei mercati musicali più vasti del mondo e la musica prog che tanto amiamo. Al momento però, non possiamo che goderci questa splendida uscita, ascoltandola senza preconcetti e con la voglia di esplorare nuovi territori.



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Francesco Inglima

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