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CRUST Stoic No Name / Addicted Label 2021 RUS

Formati nel 2014 ed originari di Veliky Novgorod, città situata tra San Pietroburgo e Mosca, i Crust giungono al loro quarto lavoro con un disco di… metal, per la precisione doom/black metal. Cosa potrebbe farci qui un disco di metal se comunque non possiamo in effetti definirlo progressivo? Diciamo, dunque, in termini di apertura mentale ed inclinazioni ad atmosfere quantomeno tetre e claustrofobiche, questo “Stoic” può offrire motivi di interesse nella sua decadenza gotica, nichilista e vagamente “cosmica”. Lo stoicismo, come da titolo, qui è interpretato e filtrato in chiave metal e truculenta, “Crust” non si dilunga in analisi filosofiche, per fortuna o purtroppo, è inteso come la più valida attitudine per affrontare una società sostanzialmente corrotta dominata dall’odio, testi quindi che riflettono disperazione e frustrazione, disfacimento morale ed umano… la prova vocale del bassista Arthur Filenko, ahinoi, è ovviamente eseguita con voce gutturale e carica di rabbia, come da tradizione “death”, quindi immagino difficile da reggere per molti non abituati a frequentare territori metal. In effetti nel genere questo disco suona come un interessante ibrido che riesce ad amalgamare l’aggressione sonora più abrasiva con momenti di nera malinconia e depressione crepuscolare. C’è l’ormai immancabile filtro post metal-rock in certe situazioni più rumoristiche ed atmosferiche per dare un tocco intellettuale ed autoriale, come c’è anche qualche tendenza a dare sporadicamente un groove vagamente stoner, senza mai fortunatamente eccedere e sfondare nella rievocazione vintage. A grandi linee si potrebbe pensare a questo “Stoic” come una sorta di incontro/scontro tra Celtic Frost, My Dying Bride, Red Harvest, Mastodon e black metal scandinavo. I pezzi tendenzialmente vanno sopra i cinque minuti e sono tutti ben strutturati ed approfonditi, i Crust non lesinano ad esprimere la loro estetica del malessere attraverso i colpi di riff cadenzati e sepolcrali del chitarrista Vlad Tatarsky, bellicosi assalti frontali alla batteria di Igor Prokofiev ed espansioni sonore di psichedelia malata e noise-dark ambient. Nel complesso quindi un disco abbastanza riuscito e dinamico che ricalca con buon artistico tutti i classici stereotipi del genere.



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Giovanni Carta

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