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KIKU LATTE |
Stories |
AMS Records |
2021 |
JAP |
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Un gruppo che si presenta come “Japanese progressive flute rock band” si descrive già abbastanza bene. E se dopo un breve prologo caratterizzato da musica da luna park, è proprio il flauto a diventare subito protagonista in quella che è la prima vera traccia del disco “Puppets”, ecco che in un nonnulla già tutti i nodi sono venuti al pettine. In effetti, descrivere questo esordio discografico è facile, perché siamo di fronte ad un progressive rock di classicissima estrazione sinfonico-romantica, interamente strumentale, con tutte le caratteristiche del genere e con riferimenti nemmeno troppo velati ai vari Camel, Jethro Tull, Focus, PFM, Rousseau, Quidam. Un percorso non dissimile da quello dei connazionali TEE, che con una manciata di dischi, a partire dal 2009, avevano attirato l’interesse dei prog fans con il loro rock sinfonico che metteva il flauto in bella evidenza. Nei Kiku Latte ad esibirsi con grande abilità a questo strumento troviamo una ragazza che ha meritato una foto tutta per sé all’interno del libretto, Kazumi Suzuki. Ma i suoi compagni di avventura non sono certo comprimari, sia perché il compositore principale è comunque il bassista Takumi Kokubu, sia perché con la loro abilità e preparazione strumentale Yusuke Akiyama (tastiere), Shingo Yoshida (batteria) e Hiroyuki Kato (chitarra) si mostrano essenziali alla buona riuscita di “Stories”. Si tratta di un cd che si mantiene abbastanza omogeneo, che si lascia ascoltare tutto d’un fiato con gli intrecci strumentali presentati dai musicisti, con melodie raffinate e con gli inevitabili cambi di tempo e di umore. C’è il brano in cui la chitarra elettrica ci dà più dentro, quello in cui le linee melodiche si fanno particolarmente docili, quello con un riff che ti resta impresso nella mente, quello con qualche divagazione jazz-rock, la mini-suite a più ampio respiro suddivisa in più parti (“The encounter suite”) e viene raggiunto un equilibrio perfetto. Segnaliamo anche che la track-list si conclude con una discreta cover di “House of the kings” dei citati Focus. I quasi tre quarti d’ora dell’album sono quindi riempiti nel migliore dei modi, con una scorrevolezza invidiabile, in una forma affascinante, alla quale si unisce tanta sostanza. “Stories” non è originale, né innovativo, né sentiamo di indicarlo come imprescindibile (ma quante nuove uscite lo sono?). Ma è fatto bene, anzi benissimo. Contiene composizioni belle, anzi bellissime. E ad ogni ascolto il piacere cresce. Scusate se è poco. Acquisto consigliatissimo.
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Peppe Di Spirito
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