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WELCOME COFFEE Light years away Overdub Recordings 2021 ITA

La band triestina nasce nel 2012, dando subito alle stampe l’EP intitolato “Box #2”, a cui segue il singolo “Sleepwalker” e quindi il full-length “UneVen”, prima di sciogliersi sul finire del 2015. Il bassista Stefano Ferrara ed il tastierista Andrea Parlante decidono però di riprendere in mano il progetto e di rifondarlo con nuovi musicisti, pubblicando così l’altro EP “The Mirror Show” e quindi questo nuovo album formato da dieci brani. Lo stile – che in principio era stato definito alternative-rock – potrebbe essere oggi individuato come prog-metal, con evidenti influenze hard & heavy decisamente più ortodosse.
Andando a spulciare altre informazioni online (anche perché il promo inviato è assolutamente spoglio, persino di nome e titolo su relativo CD!), assieme ai due musicisti sopra citati fanno oggi parte del gruppo il cantante e armonicista Andrea “Armando” Scarcia, il chitarrista Alessandro Cassese, il batterista Davide Angiolini ed il chitarrista ritmico Bill Lee Curtis. Riferimenti variegati, come si è potuto già intuire, che possono essere colti fin dalle prime battute. Ad esempio, “4th Dimension” denota influenze in stile Fates Warning, anche per l’uso della voce, a cui vengono aggiunte tastiere sognanti. Con “She” i ritmi si fanno subito più serrati, ricordando gli svedesi Heads or Tales (autori di un unico album nel 1995, chi se li ricorda?) e mettendo in primo piano un uso molto più incisivo della chitarra. Passando per i cinque minuti della title-track, in cui si è sparati nel cosmo grazie all’uso di tastiere dai suoni tecnologici, si cambia registro con “Sick”; una prog-metal ballad intensa che sfocia nel mid-tempo, con punte molto appassionate nel cantato e riferimenti ai Dream Theater, soprattutto nei passaggi attuati prima col pianoforte e poi affidati ai sintetizzatori quando subentra la parte solista. La seguente “Rainbows & Clouds” risulta essere un’altra ballad, magari intesa più nel senso tradizionale del termine, con un’attitudine però tipicamente statunitense, fin dai primi attacchi delle parti cantate.
“Ice in my Mouth” torna al prog-metal più introverso, dai richiami solenni ed esotici, mentre “Just Say No” porta in dotazione un assolo di chitarra più articolato. In effetti, ciò che sembra mancare sono proprio le partiture soliste, facendo scorrere molto velocemente l’album senza momenti che alla lunga possano dimostrarsi memorabili. Nel frattempo la struttura dei pezzi è diventata decisamente canonica e “We've Broken Up”, aperta da dei giri di basso, si caratterizza inizialmente per un’atmosfera da lento “virile” in stile Whitesnake; poi mostra assoli finalmente convincenti, tanto alla e tastiere quanto alle sei corde, seppur non eccessivamente lunghi. “Stolen Land” è introdotta dalla chitarra acustica, articolandosi su una struttura molto più onirica, condita ad un certo punto dal colore dell’armonica, anch’essa sognante. “The Man Who Cried The World” è una chiusura d’album in chiave più hard rock, che si concede momenti di pausa meditativa, sfociando poi in un assolo blueseggiante delle tastiere.
Tutti i vari appunti sono stati indicati in sede di recensione, quindi si può chiudere dicendo che il lavoro in sé risulta molto gradevole, col rischio però – come già detto – che possa essere dimenticato molto in fretta. Soprattutto se i nostri dovessero sparire nuovamente. Speriamo comunque di no.



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Michele Merenda

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