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BRESK A journey through the life of Peder Balke 1804-1887 Drabant Music 2022 NOR

L’album d’esordio di questo trio norvegese è stato concepito come un insolito omaggio ad un pittore connazionale, conosciuto per i suoi paesaggi che mettono in risalto i giochi di luce dei paesaggi della propria terra, percorsa da capo a fondo, tra montagne e fiordi, attraverso opere ricche di movimento e contrasti di luci. L’ispirazione musicale trae invece diretta ispirazione da “The Six Wives of Henry VIII” di Wakeman e “Lord of the Rings” di Bo Hansson, a quanto pare (ma io nominerei, più efficacemente a mia modesta opinione, i lavori usciti a nome Hansson & Karlsson), con un lavoro interamente strumentale pubblicato solo su vinile e in digitale, com’è ormai prassi abbastanza diffusa.
Il trio è composto da Lars Christian Narum (tastiere e organo), Jon Anders Narum (basso) e Peder Narum (batteria) e in questo suo primo album compie dunque un doppio balzo all’indietro nel tempo, sia per la storia che sceglie di narrarci che dal punto di vista musicale, senza remore né mezze misure e con una riuscita che definirei più che positiva, benché ovviamente destinata al compiacimento dell’ascoltatore maggiormente legato a sonorità e percezioni vintage.
Abbiamo quindi 9 quadretti (più un breve intro) che vanno a descrivere, con la sola forza della musica, momenti chiave della vita del pittore. Dopo l’intro atmosferico di “Awakening”, si parte quindi con “Napoleonic Wartime Overture”, relativo alla giovinezza dell’artista, che sancisce la cifra stilistica dell’album, con l’organo Hammond in piena evidenza, qualche altra tastiera di contorno e una ritmica ben presente. Le sonorità ondeggiano tra tendenze psichedeliche, suoni spaziali che diventano quasi bucolici, un groove piacevole, con suoni caldi e ben impastati e qualche apertura ariosa che di tanto in tanto donano respiro all’urgenza dei brani. Forse è proprio il lavoro ritmico che risente maggiormente del confronto con i modelli musicali di riferimento; non possiamo certo affermare che questo brilli particolarmente per fantasia o personalità, fungendo invece quasi solo da supporto al gran lavoro tastieristico, senza rappresentare una freccia in più all’arco della band ma solo (e non che questo sia banale, intendiamoci) le gambe su cui questo si appoggia.
A parte questa breve notazione, che serve principalmente a sottolineare la distanza che comunque rimane coi modelli di riferimento, bisogna comunque ribadire che il disco è comunque molto valido e piacevole all’ascolto e che i suoi brani, dalle durate piuttosto omogenee, scorrono via in modo tutto sommato leggero e, in qualche caso, addirittura allegro, rifuggendo luoghi comuni che vorrebbero certa musica nordica solo intrisa di atmosfere brumose e cupe. Tra i titoli migliori che mi sento di nominare ci sono “The Revolution of 1848” e “The Fire”, situate nella seconda metà dell’album.



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Alberto Nucci

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