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BEHIND CLOSED DOORS Caged in helices My Redemption Records 2022 GER/SVE/NL

Questo trio europeo multinazionale scrive di esser dedito al post-metal, che alla fine non si sa bene cosa possa esattamente essere. Di sicuro, come tutto ciò che è post – concetto già espresso più volte –, l’attitudine suona catastrofica, tendente a ricreare una sconcertante e sconcertata tabula rasa dopo qualche immane disastro. Il chitarrista e compositore (tedesco) Christoph Teuschel, il bassista (svedese) Fred Jacobsson ed il batterista (olandese) Yuma van Eekelen sparano i loro feroci e complessi ritmi traendo ispirazione – così loro dicono espressamente – dalle sperimentazioni della compositrice statunitense Gloria Coates, ad oggi residente a Monaco di Baviera.
Sicuramente vi è il tentativo di creare atmosfere, nonostante il techno-metal spesso d’assalto, basato su riff macinanti e martellamenti in controtempo. Atmosfere create in almeno tre occasioni con l’ausilio degli strumenti ad arco, udibili già nelle prime due tracce: “The Anti Will” e “Kaleidoscope Antlers”. Soprattutto nel primo brano si ritrovano i riferimenti all’artista americana di cui sopra, lasciando proprio che viola, violino e violoncello introducano l’album con una oscura e malinconica melodia dal sapore celtico, prima che si scateni il putiferio metallico, sempre accompagnato dagli archetti. Ci sono anche momenti di respiro, in cui l’ascoltatore assimila lo scenario oscuro che lo va man mano avvolgendo, grazie anche al sapiente lavoro del basso. Ci potrebbe essere anche qualcosa dei King Crimson, soprattutto nella specie di math-metal che anticipa i sinfonismi con cui tornano alla mente alcuni passaggi dei Metallica assieme all’orchestra, sfociando in qualcosa di molto simile al techno-thrash. Nel suo voler essere estrema, questa risulta una composizione dai risvolti che potrebbero essere definiti “cinematografici”. Orchestrazioni, Metallica ed estremismo metal altamente tecnico, tutti elementi ancora “sfogati” nel succitato secondo pezzo, che anche in questo caso presenta saggiamente momenti di respiro. Una quiete dalla connotazione psichedelica, preludio al nuovo assalto metallico, dal singhiozzante finale. “The Essence of Doubt” sembrava volesse iniziare anch’esso con partiture alla “carta vetrata”, invece si rivela per buona parte riflessivo – pur mantenendo vigorosa tensione – ed esotico, altamente evocativo. Ovviamente, non ci si può esimere dal tornare a macinare i soliti riff e controtempi ritmici, ma è uno dei rari casi in cui Teuschel si lascia andare anche a delle fasi soliste nel vero senso del termine sulle sei corde. Tutto questo, prima che la band sembri prendere il malcapitato di turno e sbatterlo senza pietà con la testa da un lato all’altro degli impenetrabili muri sonori che essi stessi hanno eretto. I medesimi di “Black Pyramid”, che però dopo tre minuti fa riprendere fiato, mentre l’aria sembra che vada sempre più rarefacendosi. È la classica ambientazione post, che comunque qui lascia spazio alle ottime trovate del bassista (il quale suona anche i sintetizzatori), ottimamente supportato dalla batteria e poi dalle linee di chitarra che si fondono con gli altri strumenti. In seguito, si sprofonda in un incedere che deve molto al doom più buio, anche in questo caso reso maggiormente energico. Poi, di nuovo la quiete, proprio mentre sembrava che dei neri corvi stessero volteggiando sinistri su un cielo spettrale; è ovviamente apparenza, perché si riprenderà a pestare come prima, in un tempo complessivo che supera i dieci minuti. Va citata anche “Per Aspera Ad Astra – but why and for what”, in cui tornano gli archi e la tensione viene da questi tenuta incredibilmente in bilico, anche quando sembra che si spari col mitragliatore. C’è un’alternanza tra le ritmiche ossessive ed i sinfonismi che presentano anche partiture un po’ più quiete, fino a lasciare per lunghi minuti la parola all’oblio, prima di concludere con l’immancabile bombardamento, accompagnato da ancor più inquietanti orchestrazioni minimali. Le ultime due tracce, infine, riprendono gli alternati stilemi fin qui descritti.
Tecnicamente ineccepibili, soprattutto dal punto di vista della ritmica… Ma è davvero difficile mantenere l’attenzione costante mentre suonano questi tre musicisti! L’intento doveva essere sicuramente quello di disorientare e probabilmente di far venire anche il mal di testa. Missione pienamente compiuta. A parte questo, c’è sicuramente da dire che si registra un oggettivo sforzo compositivo, ribadendo le tanto citate alternanze in cui si viene crivellati di colpi ed altri in cui si rimane a respirare (agonizzanti?), tutto reso tramite una grande energia costante. Ma sarebbe il caso di mettere anche qualche assolo, per convogliare verso qualcosa di ulteriormente creativo le pesanti sensazioni evocate. Comunque, di per sé, una proposta indirizzata verso una ulteriore (ristretta) cerchia di pubblico nell’ambito metal.



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Michele Merenda

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