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BABAL Who will I be when I leave? Melodic Revolution Records 2022 UK

I Babal sono una band che ruota intorno alle figure della cantante Karen Langley, del chitarrista e bassista Rob Williams e del batterista Jon Sharp. In pochi anni hanno costruito una copiosa discografia, tra album in studio, live, singoli ed EP (che si incrementa ancora se includiamo le uscite a nome Wise e Babble), ma, almeno in Italia, non sono stati molto seguiti finora. Sarà forse per una certa indecifrabilità del loro stile, che fa incrociare psichedelia, alternative rock, prog, echi zappiani, pop “deviato” e varie altre stranezze. “Who will I be when I leave?” è il loro ultimo album e contiene nove tracce per oltre un’ora di musica. I brani, per la maggior parte, hanno una durata prolungata, cosa che permette le costruzioni particolari care alla band. E fin dalle prime battute colpisce questo sound inclassificabile, dalle trame sonore guidate dalle chitarre e arricchite dal guitar synth e con queste melodie vocali stravaganti, ma che in qualche modo catturano. Durante l’ascolto vengono man mano a galla le influenze o le similitudini con alcuni artisti, ma non c’è mai una somiglianza precisa. A volte si ravvisa fortemente un tocco di anni ’80, tra i King Crimson di “Discipline” e i Talking Heads, virando anche verso i B’ 52, altre volte sembra che raccolgano l’eredità del Captain Beefheart meno folle e sperimentale. Di tanto in tanto, inoltre, ci sono momenti maggiormente legati al progressive rock che in qualche modo fanno venire in mente i Van der Graaf Generator. Le parti vocali rivestono un ruolo primario (al punto che a volte l’album sembra fin troppo verboso), ma non mancano soluzioni strumentali che catturano l’attenzione, tra trame frippiane, ma non troppo e solos mai prolungati e sempre efficaci. Inoltre, similmente ai Bent Knee, amano i virtuosismi, eppure non perdono mai di vista una comunicazione che resta diretta, non ostica, nonostante mostrino costantemente la loro eccentricità. La loro voglia di sorprendere la si nota anche attraverso l’artwork, a partire dalla copertina e continuando con una confezione cartonata al cui interno troviamo due libretti, con testi, credits ed anche un personalissimo gioco dell’oca! Tornando alla musica, le atmosfere esotiche e il crescendo di “Corkscrew rider” e le invenzioni e l’andamento ossessivo presenti negli oltre i dodici minuti di “Doors” sono le cose che forse più impressionano in questo disco, che resta comunque molto omogeneo. Alla fine, i Babal prendono spunti vari dagli artisti che abbiamo citato senza mai assomigliare con precisione a qualcuno di essi. Un pregio, che mostra personalità e voglia di distaccarsi da qualsiasi canone, ma che comporta anche una certa difficoltà ad inquadrarli e ad individuare un target che possa apprezzarli pienamente, soprattutto se si prova a cercare in un ambiente in cui molti ascoltatori continuano a prediligere epigoni di Genesis e Marillion.



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Peppe Di Spirito

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