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WIZRD Seasons Karisma Records 2022 NOR

Formatisi al Jazz Conservatory di Trondheim, i musicisti che formano la band rispondono ai nomi di Hallvard Gaardiøs (basso e voce solista), Karl Bjorå (chitarra, voce), Vegard Lien Bjerkan (tastiere) ed Alex Skalstad (batteria). Tutti coinvolti in altre realtà musicali nazionali, i quattro norvegesi lavorano a questo debutto dal 2020, poi prodotto da Martin Horntveth, batterista dei Jaga Jazzist. Sicuramente, le varie compagini in cui militano i nostri vanno ad influire stilisticamente sul risultato finale, basti nominare a caso realtà in bilico tra il prog e le sperimentazioni di un jazz-rock particolarmente aggressivo, come i Krokofant, i Megalodon Collective e soprattutto i Soft Ffog (che condividono due componenti su quattro). Quest’ultimi, sono usciti anch’essi col proprio esordio strumentale omonimo nel medesimo anno. Nell’album preso in esame, però, vi è anche l’uso della voce… Già l’iniziale “Lessons”, con l’intreccio di cantato acuto e falsetti sui controtempi strumentali, può ricordare i primi Yes (modalità che qualcuno ama alla follia, mentre ad altri sta pesantemente sulle scatole), magari anche i vecchi Phish per il loro modo irriverente di porsi; resta il fatto che dopo tre minuti già si ha un buon saggio di bravura, quando cioè parte una chitarra simil-slide su cui poi si va ad intromettere una gran rullata della batteria. È un assaggio di quanto avverrà dopo, in cui la complessità esecutiva giungerà a ben altri livelli. L’attacco di “Free Will” sembra una versione schizzata e acceleratissima di “Stress Fest” della Steve Morse Band, per andare poi ad un misto dei soliti cori in stile Yes bucolici con tempeste di ritmiche math-rock, rese stranamente accettabili nonostante la forza centrifuga. “Spitfire” sembra la sua continuazione, ma occorre segnalare il botta e risposta in chiave solista di chitarra e tastiere, a tratti swingata la prima e dalle fortissime connotazioni anni ’70 le seconde, sempre con la sezione ritmica che gira a mille… e forse anche di più! La densità del suono è particolare, caotica ma allo stesso tempo non certo opprimente. Anche per la perizia tecnica si potrebbe pensare agli inizi dei connazionali Shaman Elephant, senza volersi spingere a scomodare la pece infuocata degli altri norvegesi Seven Impale.
“All Is As It Should Be” ha un inizio vagamente space, con il basso che svolgerà un ruolo fondamentale lungo tutto il brano e dei cori in stile “tardi” Pink Floyd. Ma poi sale in cattedra l’organo, mentre batteria e soprattutto il succitato basso fanno gli straordinari. Poi tocca alla chitarra entrare in scena, con un assolo dal forte groove, nelle parti più bluesy e “rurali”, vicina a Michael Lee Firkins. Ma è qualcosa di ancora più forte e viscerale, in cui potrebbero essere tirate in ballo le trasfigurazioni di nomi già menzionati come Steve Morse o i Phish. E a proposito di echi floydiani, da citare ciò che arriva repentino ed improvviso su “Show Me What You Got”, dopo quattro minuti forsennati, in cui i sintetizzatori nella loro irruzione erano stati pure accompagnati dalle percussioni; il brusco cambiamento di atmosfera viene poi traslato in chiave di ballata romantica attuale, da indie, che dimostra di rammentare bene le lezioni della vecchia scuola e si lascia accompagnare comunque dalle calde tastiere. Il finale dell’album sembra voler virare più verso i richiami pop-rock (nonostante le ritmiche costantemente intricate), soprattutto con “Divine”, che confluisce verso la conclusiva “When You Call”, poi impreziosita da sonorità esotiche che vanno dissolvendosi.
Il paradosso di questo tipo di lavoro è che sembra nato per scherzo, suonandolo però maledettamente sul serio. Di sicuro il quartetto si deve essere divertito e c’è da augurarsi al più presto una nuova uscita, magari sviluppando meglio certe parti e risultando meno ripetitivi in alcune scelte compositive. Non che occorra certo diventare seriosi e quindi snaturarsi, per carità! Insieme ai Soft Ffog questo è davvero un buon inizio, che si spera possa continuare su entrambi i binari.



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Michele Merenda

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