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EBB Mad & killing time Boudicca Records 2022 UK

La musicista scozzese Erin Bennett si era già guadagnata una certa attenzione dai media grazie alla pubblicazione di alcuni album, sia sotto la sigla Syren che a proprio nome. Nel 2019 decide di ampliare le proprie prospettive musicali e fonda la Erin Bennett Band, mettendo assieme, come nelle precedenti esperienze, un gruppo quasi totalmente al femminile (con l’eccezione del sedicente Bad Dog, fedele collaboratore di vecchia data). Il moniker viene ben presto abbreviato in Ebb e la band pubblica un EP d’esordio nel 2019 intitolato “Death and the Maiden”. La formazione che, tre anni dopo, è presente in questo primo album full-length è la seguente: la già citata Erin (voce, chitarre, tromba), Anna Fraser (batteria e tabla), Suna Desi (synth e cori), Nikki Francis (Hammond, piano, Mellotron, synth, flauto, sax e clarinetto), Kitty Biscuits (percussioni e cori) e Bad Dog (basso), al secolo Finn McGregor, unico uomo della compagnia.
L’evoluzione musicale attraverso le esperienze sopra elencate ha visto la Bennett spostarsi gradualmente da un rock più sanguigno e chitarristico via via verso un art rock più elaborato, con l’utilizzo di una strumentazione sempre più ricca ed eclettica e con soluzioni musicali più articolate e complesse.
I 3 minuti scarsi dell’intro ci preparano a tuffarci nella prima vera traccia dell’album “The Animal Said I” in cui prendiamo confidenza con le maestose trame strumentali della band (che qui ricordano un po’ i migliori momenti di IQ e Marillion), in una canzone che si sviluppa in crescendo e cattura senza dubbio l’attenzione dell’ascoltatore. Il cantato di Erin sembra aver superato le graffianti sonorità rock degli esordi, guadagnando in calore ed espressività. Il ricco parco tastiere a disposizione dona alla musica un evidente colore sinfonico, con notevoli richiami agli anni ’70, ma l’eclettica strumentazione talvolta dona sapori e sfumature particolari.
Anche “Tension” azzecca riff strumentali efficaci, in un brano dai connotati hard Prog sostenuto dai caldi suoni di tastiere e con un cantato che inizia ad innalzarsi di tono. La tensione rimane quindi ad alti livelli e ci sentiamo totalmente immersi nelle atmosfere create da questa musica. La calma sembra tornare con “Hecate” ma ci accorgiamo ben presto che si tratta di una breve pausa; il brano tiene alto il filo della tensione con dei cambi di tempo e di umore repentini quanto efficaci e la voce di Erin ormai vola su alti livelli.
“What Under What” si apre con delle gentili note di flauto e in effetti il brano si attesta su sonorità più gentili, facendo calare il pathos e mostrandoci il lato più morbido e lirico della band. Lo strumentale “Violet Is Tits” torna sulle sonorità hard Prog degli inizi e la successiva “Krystal at the Red Light” ne è la naturale continuazione, pur spaziando su sonorità più variegate nel corso della sua durata (blues e jazz, con un buffo sax a chiudere il brano).
“Confess” ha atmosfere più oscure, iniziando in modo soft, con effetti di parlato in background (presenti in altri momenti dell’album), per poi decollare nella parte centrale. Il brano sfuma, con begli arpeggi di chitarra e morbidi tappeti di tastiere, e prosegue idealmente con “Mary Jane”, canzone dai toni più morbidi leggeri che chiude il disco con un umore quasi liberatorio, con il cantato che assume tonalità da rock melodico.
Si tratta di un album di un livello decisamente buono, frutto di una metamorfosi che, se ci si va a riascoltare le cose prodotte dalla bionda chitarrista appena qualche anno fa, ci rendono perplessi -in senso positivo!- su questa evoluzione. L’incontro con la versatile tastierista ha avuto senz’altro un ruolo fondamentale, direi, ma anche l’adattamento dello stile della stessa Bennett è stato decisamente notevole.



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Alberto Nucci

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