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OAKS Genesis of abstract Argonaut Records 2022 FRA

Non c’è molto da dire sull’esordio del trio francese, formato da Thibault L. (chitarra), Julien V. (basso, autore dell’artwork) e Vincent B., artefici di qualcosa che di certo non può essere definito prog-rock. Poco più di mezzora dove, sempre a livello esclusivamente strumentale (fatta eccezione dell’apertura e della chiusura), si vuole dar forma all’atmosfera in cui l’Uno crea il concetto stesso di “Astratto”, in quello che nelle note di copertina viene definito “un mare di suono turbolento”. Visione che probabilmente trova spunto dal neoplatonismo di Plotino (la creazione come emanazione, proprio dall’Uno) e che viene trasposta in musica tramite quello che di fatto è una sorta di stoner.
Che altro dire? Si tratta presumibilmente di un unico pezzo, poi suddiviso ed articolato in sette tracce, che hanno sicuramente il merito di trasportare l’ascoltatore in un clima di… Creazione, risalendo da quel Buio profondo che precede addirittura il Chaos. Tutto avviene tramite riff sabbathiani, pressocché imprescindibili per il genere menzionato, con il basso distorto e ben in evidenza. La più lunga è “The Harmonist”, che mostra delle variazioni al sesto ed all’ottavo minuto. Sarebbero potute risultare significative, se solo fossero state sviluppate e magari il brano fosse durato di meno. “The Dawn”, l’alba di questa particolare Creazione, sembrava spezzare bene l’andamento grazie la sua melodia, ma si è trattato di un breve attimo; ci si è infatti rituffati in quel vortice impenetrabile ben rappresentato in copertina. “The Abstract” poteva anche mostrare a sua volta degli spunti interessanti, soprattutto quando pareva di far cenno a certe ritmiche Hendrixiane, sempre immerse nell’oscurità del Sabba Nero; ma per la maggior parte del tempo le coordinate rimangono sempre le medesime.
Sicuramente, ascoltandolo più volte ci si lascia trasportare meglio dal turbinio di questa particolare “genesi”. Ma, come detto in apertura, col prog-rock non c’entra nulla e questo non sembra per niente il contesto più adatto per analizzare l’opera prima dei cugini transalpini. Un’uscita per esperti ed appassionati del settore.



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Michele Merenda

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