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ZOPP Dominion Flat Circle 2023 UK

Senza dubbio il secondo album degli Zopp era fra le novità più attese dell’anno, soprattutto in virtù di un esordio, l’eponimo disco uscito nel 2020, molto chiacchierato ma anche molto apprezzato per le sue colorazioni Canterburyane. Gli Zopp sono la creatura di Ryan Stevenson che suona praticamente tutti gli strumenti che potete ascoltare qui dentro (Mellotron, piano elettrico, chitarra acustica ed elettrica, basso, voce, Synth e flauto) tranne la batteria che è gestita brillantemente da Andrea Moneta dei Leviathan. In questa formula si integrano alcuni ospiti che aggiungono alcune interessanti fragranze che sono Joe Burns dei Guranfoe al gong, Mike Benson al sax tenore, Rob Milne e Jørgen Munkeby al sax tenore e al flauto, Caroline Joy Clarke e Sally Minnear (figlia di Kenny Minnear dei Gentle Giant) alla voce e Tomás Figueiredo al corno francese.
Se dovessimo valutare questo album in base ad un coefficiente di Canterburyanità (passatemi il neologismo), sicuramente ne rimarremmo in parte delusi. Dico questo perché il sound Canterburyano fa parte delle aspettative che si erano create attorno a questo gruppo, effetto questo che aveva colpito pesantemente anche il bellissimo album di esordio. Indubbiamente questo tipo di sound fa parte del DNA del duo, ed alcuni dei momenti più belli dell’opera lo esemplificano perfettamente, ma gli Zopp non sono soltanto questo, non al 100% almeno, ed è ora che ve lo mettiate bene in testa per riuscire a godervi al meglio una produzione musicale attraente sotto diversi profili.
Al di sopra di tutti quanti i brani, 7 in tutto per un totale di 42 minuti complessivi di durata, si staglia la lunghissima traccia conclusiva di ben 14 minuti intitolata “Toxicity” che è sufficientemente Canterburyana ed anche cantata (questa è senza dubbio una grossa novità) da una voce, quella di Ryan Stevenson, che col suo stile ed il suo timbro contribuisce a rievocare certe suggestioni che ci riportano ai Gentle Giant. Il brano è un autentico gioiello che riesce a tenere insieme diverse anime, scorrendo agilmente da una situazione all’altra, in un viaggio sonoro decisamente confortevole e più fruibile rispetto alla passata produzione. Atmosfere sinfoniche e psichedeliche entrano in simbiosi fra loro, gli elementi tastieristici sono sgargianti con graziosi riferimenti agli Yes ma anche ad Hatfield and the North, Gong e Caravan.
Un altro lungo brano che fa della melodia il suo punto di forza è “You”. Troviamo ancora delle parti cantate, anche se quelle strumentali sono prevalenti, con motivi vagamente Beatlesiani e morbidi tappeti d’organo. Ci sono cose anche più Canterburyane di queste come “Bushnell Keeler”, con le sue atmosfere enigmatiche guidate dal sax, oppure come la malinconica “Uppmärksamhet”, soffusa e lunare o come la guizzante “Reality Tunhnel”, battagliera e dai ritmi serrati con gradevoli accenti folkish, ma non misurerei la riuscita di questo disco in base a ciò, come già spiegato. Ryan Stevenson sembra aver scoperto una nuova direzione artistica che non rinnega affatto il passato ma che potrebbe portarlo benissimo altrove, anche se ovviamente adesso non possiamo saperlo. Non ci resta che aspettare e nel frattempo goderci questo album che come tante altre cose belle farà ancora discutere.



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Jessica Attene

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