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RHÙN Tozïh Baboon Fish Label 2023 FRA

Il progetto originale era quello di pubblicare un doppio album, ma i Rhun hanno preferito puntare su due uscite separate, “per preservare l’udito degli ascoltatori” (citazione testuale dalla pagina Bandcamp). In effetti, non si può negare che quel ramo del prog indicato con il termine di “zeuhl” sia a molti indigesto a causa di alcune sue caratteristiche, prima tra tutte la stretta parentela con la musica dei Magma. Non c’è niente da fare, quei cori ossessivi, quelle ritmiche indiavolate, quelle reiterazioni continue o si amano, o si odiano. I Rhun rientrano nella categoria di quei gruppi che i Magma li hanno ascoltati bene e portano avanti il verbo zeuhl senza compromessi. L’album si apre con “Emeht um rhet sam”, che con i suoi ventuno minuti e mezzo occupa l’intera prima facciata del vinile. Si parte con effetti noise e sperimentali, che rimandano alla “Moonchild” crimsoniana e che creano subito un’atmosfera inquieta. Dopo questo inizio di “assestamento”, verso i tre minuti si entra nel vivo della composizione, con un orientamento jazz-rock inizialmente rilassato, guidato da un piano elettrico intrigante e da una chitarra nervosa. L’entrata del sax ci porta in orbita Magma e via via il sound si fa più sinistro; iniziano quei temi ripetuti cari a Vander ed entra anche il cantato profondo che fa il resto (i testi alternano francese e una lingua inventata prossima al kobaiano). Si va avanti con un crescendo di tensione e impennate ritmiche sempre più irruenti, ma non mancano i cambi di tempo, riff tormentati e reminiscenze della trilogia “Theusz hamtaak”. “Emeht um rhet sam” presenta in pratica una struttura formalmente ineccepibile, ma non manca di sostanza, vista la classe che emerge per merito della preparazione dei musicisti e dei continui momenti brillanti che si susseguono senza sosta. Il secondo brano ha come titolo “Sedalg rhevé”, si avvicina ai dodici minuti ed inizia con cori altisonanti, poi il sax va in primo piano e i Rhun si indirizzano verso la trilogia “Kohntarkosz” con un’accelerazione poderosa. Partono una serie di stravaganze con gli strumenti che si intrecciano e che creano dissonanze, poi, dopo i cinque minuti, ritorna il cantato, solenne, ma anche più vicino a soluzioni folkloristiche che possono riportare alla mente i corsi Rialzu, mentre la batteria accompagna con colpi marziali. Gli ultimi quattro minuti, invece, sono direttissimi discendenti di “Mekanik destruktiw kommandoh”. Conclusione affidata ai cinque minuti di “Eripme cirtcele” e qui il vigore dello zeuhl dei Rhun tocca i suoi vertici, con i ritmi incandescenti e le note che viaggiano veloci a dare un senso di alienazione. Be’, amici appassionati di zeuhl (sono certo che tutti gli altri potenziali lettori hanno abbandonato la lettura da tempo), i Rhun non fanno dell’originalità il loro punto di forza, ma a dieci anni di distanza dal precedente lavoro “Fanfare du chaos”, sfornano un altro album derivativo quanto si vuole, ma che si fa apprezzare e va considerato pregevole nel suo ambito. Non resta che aspettare la seconda parte delle sessions da cui è nato “Tozih”, con la speranza che sia su livelli simili.



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Peppe Di Spirito

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