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MERIT HEMMINGSON |
Mother Earth forever |
Swedish Stereosounds |
2024 |
SVE |
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Alla veneranda età di 84 anni la regina del folk groove svedese a base di Hammond si tuffa nuovamente nel mercato discografico, recuperando le sonorità a lei più congeniali e servendosi dell’aiuto di un altro veterano del Progg scandinavo e cioè di Roine Stolt che, oltre ad aver suonato la chitarra ed il basso, si è occupato in prima persona della produzione e del mixaggio di questo album. Fra gli altri ospiti intervenuti notiamo poi un’altra illustre presenza e cioè quella di Hasse Bruniusson, storico percussionista dei Samla Mammas Manna e dei più recenti Ensemble Nimbus. Merit è una vera e propria celebrità in Svezia che viene ricordata soprattutto per i suoi arrangiamenti in chiave beat dei classici motivi del folklore locale, ed è stata proprio lei a voler contattare il chitarrista dei Kaipa nel 1993, invitandolo a collaborare ad un nuovo album che avrebbe visto l’organo a canne come protagonista principale. All’epoca i due studiarono un modo per combinare il suono dell’organo con tutta una serie di strumenti come il sax, il cornetto (strumento a fiato tardo barocco) e la ghironda, oltre a quelli elettrici più canonici, ottenendo un groove davvero interessante che oscillava fra suggestioni vintage e soluzioni più moderne. Nessuno fu disposto a pubblicarlo ed è passata così una ventina d’anni prima di poter finalmente stringere fra le mani questo “Mother Earth Forever”. L’album, che sembrava ormai dimenticato, è composto essenzialmente, come intuibile, da vecchie registrazioni risalenti agli anni Novanta ma anche da materiale più recente. Il brano più rappresentativo di questa raccolta di brevi episodi è forse l’ultimo, il dodicesimo, intitolato “Hymn From the Mountains”, un inno pacato ed avvolgente, guidato dall’organo solenne ed arricchito da synth e chitarra elettrica in modo tale che il loro contributo sia corale e mai sopra le righe. “Brighter Future” è interessante per il suo groove hard blues dai riflessi folk, con l’organo a canne protagonista di vibranti assoli e gentili incursioni della fisarmonica, del clavicembalo e del cornetto, con i loro equilibrismi tesi fra passato e presente in una congiunzione di linguaggi musicali insolita ma nel complesso sempre affabile. Altra traccia molto suggestiva è “Ocean of Organs” in cui la voce dell’organo si confonde con le onde dell’oceano, col sax di Fredrik Ljungkvist che ci regala melodie dai connotati etnici. La voce di Merit è spesso presente ma non si serve di parole e spesso si confonde in modo discreto con gli altri suoni, come nella eterea “People of the Four Winds”. Scorrendo l’album in su e in giù troviamo episodi dal taglio un po’ più moderno come “South Pacific Paradise” o “Dreams of the Universe”, una ballad estremamente distesa e disimpegnata dalle tonalità blues, ma in generale questo album parla molto di Merit e un po’ meno di Roine Stolt, con suggestioni che a volte ci portano verso Bo Hansson o verso i Kebnekaise. I riferimenti alla sua storica discografia sono tangibili anche se si legge perfettamente la volontà di creare architetture sonore diverse per la loro timbrica. La particolarità del disco sta proprio nella scelta di utilizzare l’organo liturgico in un contesto prog folk, mescolando i suoi registri imponenti con altri strumenti, come se le foreste di betulle diventassero una specie di luogo sacro dove vive la musica. Come nello stile della Hemmingson, i pezzi sono stati ideati per raggiungere un pubblico ampio, pur nella particolarità e nella raffinatezza delle scelte stilistiche, ed è per questo che in generale risultano accessibili e rilassanti.
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Jessica Attene
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