Home
 
KORKOJ XI Baboon Fish 2024 FRA

Una formazione triangolare che si presenta con pianoforte, basso e batteria e realizza un disco interamente strumentale fa sicuramente pensare al jazz. E il jazz di certo non manca nell’album che andiamo ad esaminare. Ma quello che sorprende con una strumentazione simile è la potenza sonora che i Korkoj riescono a sprigionare. Già, perché il pianista Fréderic Gablin, il bassista Ronan Bedo e il batterista Matthieu Noblet sono in grado di scatenare esplosioni continue con le loro armi a disposizione. L’incipit “La led” è già indicativo: pochi secondi con note di piano con un riff ossessivo e la sezione ritmica dà subito manforte con irruenza. Si prosegue con tante variazioni, brevi passaggi classicheggianti, momenti improvvisi di silenzio che si alternano con spunti di grande furia sonora. E in meno di due minuti i Korkoj hanno presentato il nuovo lavoro, che prosegue fondamentalmente su questa stessa scia con le altre dieci composizioni. Le durate dei brani non sono mai elevate, ma in pochi minuti la band è capace di mettere tante idee e tanta carne al fuoco, mostrando identità di intenti, affiatamento, tecnica e voglia di far avvicinare jazz e rock irruente. Il piano ovviamente è un po’ accentratore ed è capace di attirare sia con poche note ripetute di continuo che fanno pensare a quelle reiterazioni tipiche dello zeuhl (soprattutto in “La rose et le glaire”, “Varice des champs”, “Humphrey Bitume” e in una “Opercule Poirot” dal titolo esilarante e con brusca interruzione finale), sia con fughe agilissime. A volte il basso con le sue distorsioni fa le veci di una chitarra, con risultati interessanti tra il bizzarro e lo straniante (“Quand Harry rencontre Barry”), poi c’è spazio per la malinconia e la melodia con un finale intenso con “La solitude du roi”, per i “singhiozzi” di “Camion benne”, per un po’ di romanticismo con il minuto e mezzo di “Poirot”, per le tentazioni di avant-jazz-rock-prog di “La traversée du vide”. L’unico pezzo che va oltre i sei minuti è “Korkojazz”, che mostra al meglio le capacità dei musicisti con un jazz-rock dinamico e virtuoso, ricco di accelerazioni e rallentamenti, ma che al contempo appare un po’ più ordinario rispetto agli altri, quasi un esercizio di stile. Facendo qualche ricerca in rete non è che si scopra tantissimo su questa band. Sappiamo che è originaria di Rennes, che è attiva dal 2009 con un orientamento autodefinito jazz-punk, che Gablin in altre occasioni si è esibito anche con chitarra e tastiere, che qualcuno la avvicina al math-rock e che la j finale si pronuncia ï. I Korkoj hanno un altro paio di album alle spalle prima di questo “XI”, che risulta una proposta molto interessante, con buone dosi di creatività ed uno spirito di ricerca molto apprezzabile. Se vi fa piacere esplorare territori diversi dal classico rock sinfonico e non disdegnate o amate proprio fare incursioni nel jazz-rock, nelle deviazioni zeuhl, nei ritmi complessi e composti e negli arrangiamenti intricati, l’ascolto di quest’album è di sicuro raccomandabile.

 

Peppe Di Spirito

Italian
English