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MOLOTOY |
Music for ministeriali |
autoprod. |
2024 |
ITA |
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Terzo album per il romano Andrea Buttafuoco e il suo progetto Molotoy, portato avanti in solitaria nel corso degli ultimi anni. Sound designer e sound director per il cinema, presente nel mondo dello spettacolo per realtà come Netflix, RAI, Fox, Amazon. Discovery e Disney+, ha anche composto musiche e partecipato a eventi riguardanti compagnie internazionali di danza contemporanea (Spellbound Contemporary Ballet, Emanuel Gat, ecc…), oltre a collaborare con Marco Ciorba e lavorare assieme alla serie “Il Gattopardo” e al film “Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa”. Un background culturale e lavorativo che si riflette in maniera chiara nella sua musica, oggi espressa in maniera netta tramite un linguaggio elettronico, ancora di più rispetto a quando i Molotoy erano un trio. In otto anni – questo il lasso di tempo dall’ultimo album – le cose cambiano e le situazioni si evolvono, soprattutto a livello personale. Infatti, la fine del proprio rapporto affettivo viene posto quasi come una “sovraincisione” a quello che risulta essere il leitmotiv dichiarato, cioè creare un’opera che contenga musica… per dipendenti pubblici! Lo suggerisce del resto il titolo stesso, mettendo di fronte lo stesso Buttafuoco, un libero professionista, con il mondo lavorativo poco sopra menzionato, che nonostante la noiosa routine garantisce (nella maggior parte dei casi) il minimo per poter vivere con un margine di sicurezza. Secondo l’autore, i liberi professionisti vivono in un’ansia costante, per mille motivi, e non hanno la predisposizione d’animo per poter assimilare appieno il fluire delle qui presenti composizioni. Sembrerebbe suggerire che non ne avrebbero nemmeno il tempo, impegnati come sono a produrre. I dipendenti pubblici, in questa visione in cui le frequenze prendono forma, godrebbero anche della possibilità di concentrazione per capire bene quello che ascoltano (quegli altri no, non hanno né tempo e né testa, per dirla in gergo). Viene spontaneo chiedersi: ma il protagonista è serio oppure sfotte? E chi, esattamente? Perché quanto prodotto si pone come qualcosa di molto serio, se non addirittura serioso, e sembrerebbe volersi ergere come una produzione creativa che la massa non è in grado di cogliere. Ma viene anche detto che ciascuna traccia potrebbe fare da colonna sonora al lavoro d’ufficio; oppure essere ascoltata a casa con un buon vino assieme alla persona amata (ahi, ci risiamo!). L’iniziale “Senza di te”, per esempio, ricrea il vuoto di un rapporto terminato dopo tanti anni o si riferisce alla mancanza di lavoro, visto il tema portante dell’album? Qualcuno sostiene che indichi entrambe le cose, in un ambient da moderna pellicola esistenzialista, che scorre con fare lento e vede le note di due chitarre distinte sovrapporsi, facendo uscire di scena prima l’una e dopo dei momenti di solitudine anche l’altra. Si è peraltro scritto che questa separazione sarebbe avvenuta il 27 maggio, come il numero “27” che intitola la seconda traccia; una cifra che a sua volta indica anche il giorno del mese in cui si prende lo stipendio e che in questo caso dovrebbe creare sensazioni contrastanti: il lavoro pubblico è una certezza o una prigione? Infatti la sequenza musicale è tutt’altro che rilassante, fatta di sbuffi elettronici continui e modulazioni che variano di continuo anch’esse, facendo venire il dubbio d’aver lasciato il cellulare troppo vicino alle casse, creando così disturbi durante l’ascolto. La fruizione, come detto, non porta per nulla al rilassamento bensì a uno stato di tensione costante, fattore reso evidente in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, con cui si omaggia a modo proprio Italo Calvino. Non si poteva che prendere spunto da una storia in cui il protagonista comincia per dieci volte a leggere un libro e non riesce mai a continuare, ricominciando daccapo, proprio come le sovrapposizioni che via via si succedono in maniera ossessiva in questa composizione. Per non parlare di “Folagra”, che porta il medesimo nome del collega di Ugo Fantozzi, giovane intellettuale di Sinistra schivato da tutti per paura di compromettersi davanti ai propri capi. Vi sono quindici tracce, disposte lungo quelle che sarebbero due facciate immaginarie, proponendo continui riferimenti come “Piove sul nostro cocktail” o la conclusiva “TFR”. Non è una musica che scivola fluida, tutt’altro; c’è qualcosa di ruvido, di “granuloso”, che crea ostacoli in modo volontario al fluire dell’assimilazione. È sicuramente un nuovo inizio di vita per Buttafuoco, che parte da una pars destruens molto intellettuale per portare la sua musica e se stesso… chissà dove. Si chiuderà con una nuova sintesi oppure il cerchio non si chiuderà e si rimarrà sospesi in questo eterno interstizio temporale, costruito in maniera sintetica? Nessuno può dirlo. Ma a chi piace l’elettronica, e in generale gli esperimenti nel settore specifico, dovrebbe dare più di un ascolto a questo nuovo lavoro. Si troverebbero sicuramente dei validi spunti creativi, a patto che davvero non ci si voglia rilassare ed invece viaggiare verso strani lidi della mente, con variazioni e stacchi improvvisi che facciano tornare sempre sui propri passi.
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Michele Merenda
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