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OAK (NOR) |
The third sleep |
Karisma Records |
2025 |
NOR |
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Sette brani nuovi di zecca nel quarto album dei norvegesi Oak, che confermano in tutto e per tutto pregi e difetti mostrati già finora. Anche “The third sleep” risulta, in fin dei conti, un lavoro scorrevole, nel quale la band è capace di mostrare la giusta attenzione ad impostare strutture moderne e non banali, ma senza perdere di vista il gusto per la melodia ed il romanticismo. Pezzi come “No such place” (con tanto di intervento di sax), “Run into the Sun”, “Shimmer”, “Shapeshifter” si muovono a cavallo tra i Quidam post Derkowska, gli Arena di “The visitor” e i Porcupine Tree di “Stupid dream”. In questi casi si alternano e si mescolano raffinatezze prog, arpeggi di chitarra dal sapore folk-rock, connessioni tra strumenti acustici ed elettrici, echi floydiani, fughe strumentali ipnotiche, robustezze hard rock. Insomma, c’è un certo spirito di ricerca e di esplorazione, abbinato alla voglia di puntare su trame anche intricate, ma con l’obiettivo, riuscito, di non perdere di vista l’orecchiabilità. Ed il cantato limpido fa il resto e contribuisce a dare un ulteriore tocco elegiaco ad un sound già di base abbastanza malinconico. Proprio queste caratteristiche contribuiscono a mettere in evidenza le loro origini nordiche e a trasmettere suggestive atmosfere legate in qualche modo a quelle proposte in passato da Opeth, Landberk, Katatonia e Ulver. L’espressività di queste composizioni stride un po’, tuttavia, nel confronto con le altre, nelle quali gli Oak sembrano forzare soluzioni quasi a cercare a tutti i costi un sound al passo dei tempi, post-prog, come direbbe qualcuno. L’impressione, però, è che in queste circostanze le cose si fanno un po’ confusionarie, fino a sfociare nelle eccessive pesantezze e ruvidezze della conclusiva “Sensory overload”, che fanno calare la tensione, invece di innalzarla, anche quando si ricorre al cantato growl. In conclusione, andando ad analizzare i tre quarti d’ora di “The third sleep” sono abbondantemente di più gli alti rispetto ai bassi. Ed è un peccato, perché i momenti più ispirati mostrano una band dalle grandissime potenzialità. Siamo quindi al cospetto di un album di buona qualità, anche ben registrato e ben prodotto. Non fa certo gridare al miracolo, ma può rappresentare un passo importante verso la maturazione completa, al punto da riuscire in futuro a portare minori dispersioni e a raggiungere equilibri definitivi nelle architetture sonore create dai musicisti.
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Peppe Di Spirito
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