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FLU-BAND Fly JP-Musiikki Oy 1981 (Svart Records 2023) FIN

Quanti gruppi e dischi dei tanto discussi anni ’80 ci sono ancora da (ri)scoprire? Non sono pochi gli artisti che in quel periodo si sono affacciati in un panorama difficile per poi sparire in breve tempo, “sconfitti” dall’imperante musica di plastica. A quanto pare, recuperi interessanti da fare ce ne sono ancora. Vi suggeriamo sicuramente l’ascolto di quest’unico lavoro della finlandese Flu-Band, interessante ripescaggio della benemerita Svart Records, non nuova a queste operazioni nel suo vasto catalogo che spazia in tanti generi. La Flu-Band vide la luce sul finire dagli anni ’70 e ruotava intorno alla figura di Calle Björklund, classe 1954, chitarrista e compositore. Il “Flu” che caratterizza il nome del gruppo, non deriva dalla parola inglese che significa “influenza”, bensì da “be influenced”, in relazione agli artisti che in qualche modo erano visti come dei punti di riferimento, da Jeff Beck a Billy Cobham, da Santana a Janne Schaffer, da Herbie Hancock a Frank Zappa. Con questi nomi già vi abbiamo dato un indizio sull’indirizzo musicale intrapreso da Björklund e compagni. La Flu-Band, inizialmente in trio, registrò un demo nel 1979, ma per le registrazioni del disco vero e proprio bisognò attendere l’anno successivo, dopo aver ricevuto un prestito da una banca. Nelle sessions presso gli Indigenous Studios fu coadiuvata da diversi musicisti, alcuni dei quali reduci da esperienze importantissime nell’ambito del prog finlandese, a partire dal tastierista Esa Kotilainen dei Wigwam e da qualche anno impegnato in una carriera solista (per l’occasione lo troviamo anche dietro la consolle per l’incisione e il mixaggio). Tra i presenti di “peso”, citiamo anche il fiatista Pentti Lahti (che ha suonato con innumerevoli artisti del jazz finlandese e che per l’occasione andò a sostituire l’altro “prezzemolino” Paroni Paakkunainen dopo la defezione di quest’ultimo), il percussionista Jukka Wasama dei Piirpauke, Frank Robson, ex Tasavallan Presidentti, che presta la sua voce nell’unico brano cantato. Il risultato fu questo “Fly”, contenente cinque pezzi per trentacinque minuti di musica. L’orientamento è prevalentemente tra il jazz-rock e la fusion e in questo contesto i musicisti sono liberi di mostrare il loro talento esecutivo. I primi due brani “Bego” e “Surfing” sono i più lunghi del lotto (otto e nove minuti) viaggiano spediti e mettono subito in chiaro le cose, con un sound brillante, ritmi in continua variazione e il continuo alternarsi alla guida e ai solos di chitarra, sax e tastiere. Tra pennellate funky e qualche rimando al jazz-rock italiano (Arti e Mestieri, Napoli Centrale, Etna, Nova), i timbri sono quelli degli eightes, senza esagerazioni, ma si avverte comunque quella sensazione un po’ artificiosa che danno gli strumenti elettrificati dell’epoca. Arriva poi il pezzo cantato da Robson, “Marabu”, più immediato, rock e melodico rispetto agli altri, ma comunque ben congegnato con una struttura musicale ben solida. Le ultime due composizioni tornano prepotentemente in odore di fusion: “Lucky nine” vede la chitarra elettrica in ruolo centrale ed è molto beckiana, la title-track si muove tra Santana e funk rock e contiene splendidi parti solistiche di organo, sassofono e flauto. Gruppo che è durato poco, ma assolutamente capace, con un album piacevolissimo ed egregiamente suonato; non si avvertono virtuosismi mai fini a sé stessi, anche se un po’ di maniera è percepibile; fortunatamente, ad emergere durante l’ascolto, è un groove trascinante che fa capire quanto sia importante che questo disco dimenticato sia ora finalmente disponibile in cd.

 

Peppe Di Spirito

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