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FLAME DREAM Out in the dark Vertigo 1981 (V Records 2025) SVI

Lo scorso anno (2024), dopo oltre trentotto anni di assenza, gli svizzeri Flame Dream (con quattro dei cinque membri storici) avevano pubblicato “Silent Transition”, che li riportava all’attenzione del (piccolo) mondo prog. Si vociferava già allora che la band avesse intenzione di pubblicare in formato cd i primi, ottimi, lavori usciti tra gli anni ‘70 e ‘80, in un periodo non proprio florido per il progressive rock. A questo “Out in the dark” seguirà a breve “Elements”, mentre, per ora, non abbiamo notizie circa l’eventuale pubblicazione dell’album d’esordio, “Calatea”, uscito in vinile nel 1978. “Out in the dark” venne pubblicato nel 1981, quando la formazione aveva già perso uno dei membri fondatori, il chitarrista Urs Waldispühl; la band era composta dal tastierista Roland Ruckstuhl, dal bassista e seconda voce Urs Hochuli, dal batterista Peter Furrer e dal cantante Peter Wolf, impegnato anche al sax e al flauto; ospite per l’occasione il chitarrista Dale Hauskins. L’album è composto da cinque brani, intrisi di melodie convincenti, a cavallo tra Yes, Genesis, pop di qualità ed altro ancora. Certo non stiamo parlando dei Genesis di “Supper’s ready” o degli Yes di “Close to the edge”, ma il gruppo privilegia, invece, un approccio più sintetico e di qualità. Il lavoro si apre con gli oltre cinque minuti di “Full moon”, con il basso protagonista, ritmi sbarazzini e cori che ricordano non poco i primi Kayak di “See see the sun”. “Nocturnal Flight” è, invece, in pieno Banks- style tra “...And then there were three” e “Duke”, con una sottile vena malinconica e autunnale. Molto riuscite le aperture sinfoniche ed il guitar- solo sul finale (Hackett docet). La title track (di oltre nove minuti) ha un refrain che subito ci conquista, ma è intorno al quarto minuto che tutta la bellezza del brano si manifesta, con il flauto ed il mellotron prima e il pianoforte poi. La lunga e memorabile coda strumentale chiude il brano, facendoci quasi dimenticare che l’anno di pubblicazione era il 1981 (non proprio l’epoca d’oro per certe sonorità), non il… 1971. La breve (quattro minuti) “Wintertime nights” ha anch’essa chiari rimandi alla facilità melodica dei Kayak nel cantato, mentre le ricche parti strumentali evocano, ancora una volta, le intricate composizioni del miglior Tony Banks. “Out in the dark” si chiude con i sedici minuti abbondanti di “Strange meeting” (divisa in tre sezioni), basata su una poesia dell'autore inglese Wilfred Owen e dedicata a tutte le vittime di guerre, torture, repressioni. Tematiche, insomma, ancora attuali, a distanza di oltre quarant’anni dall’uscita dell’album. La prima sezione ha un inizio malinconico, con la voce di Wolf e il pianoforte, un lento ma inesorabile crescendo vocale alla Gentle Giant, arricchito dai synth di Ruckstuhl. La seconda parte (“Kaleidoscope”) è interamente strumentale, molto dark, con il sax che ne accentua la carica drammatica e che ci porta senza soluzione di continuità al finale; questo riprende i temi posti ad inizio brano. Si chiude così un album davvero bello, che meritava senza dubbio la riproposizione in formato cd (curata dalla stessa band), sia per il suo valore storico sia per quello artistico, nell’attesa, almeno per ora di “Elements”.

 

Valentino Butti

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