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THE FLOWER KINGS Love Inside Out 2025 SVE

Rimessa in moto la macchina Flower Kings, Roine Stolt continua a farla viaggiare senza troppe soste. Magari non viene mostrata quella prolificità che caratterizzava i primi anni di attività, ma dal 2019 questo è il quinto album in studio, ai quali va aggiunto anche un live. Magari possono variare gli interpreti, eppure stilisticamente il sound a cui ci hanno abituato i “Fiori” non cambia. In realtà, la line-up al momento sembra essersi assestata, visto che al fianco del chitarrista troviamo nuovamente Mirko De Maio alla batteria e alle percussioni, Lalle Larsson alle tastiere, Hasse Fröberg alla voce, e Michael Stolt al basso.
Il nuovo album “Love”, quindi, non porta vere novità e, di conseguenza, non fa che dare conferme. Conferme di un prog sinfonico/romantico solare e pieno di aggraziate melodie. Conferme di una professionalità che non può essere messa in discussione. Conferme di una produzione limpida e pulita, perfetta per la musica proposta. Conferme di uno Stolt sempre fertile a livello compositivo. Conferme che se si cerca un prog intricato e avventuroso non è certo ai Flower Kings che bisogna guardare. Ma in fin dei conti ai Flower Kings nessuno chiede atti di coraggio. La band continua a mantenere uno zoccolo duro di fan che non aspettano altro di sentire nuovo materiale che non si discosti troppo dalle coordinate mostrate in trent’anni di carriera.
“Love” si protrae per oltre settanta minuti ed offre dodici nuovi brani dalle durate non eccessive (solo due superano i dieci minuti) che accontentano i fan ancora una volta. Come spesso accade, i momenti migliori sono rappresentati proprio dai pezzi che si prolungano di più, ovvero “The elder” e la conclusiva “Considerations”, nelle quali i musicisti si possono muovere tra cambi di tempo e di umore senza perdere una gradevolezza melodica che di base non manca mai. Da segnalare anche un paio di brevi strumentali di una certa pregevolezza: i due minuti di “World spinning”, tra raffinatezze genesisiane e attimi di giocosità; l’effervescenza di “Kaiser razor” con le sue brillanti combinazioni tra chitarra e tastiere. Il resto scorre, facilmente, con fluidità, senza intoppi, senza sobbalzi, tra ballad leggiadre, le puntuali derivazioni Yes e quell’effetto “vintage ma non troppo” portato avanti fin dagli esordi. Il marchio di fabbrica è consolidato e non ci si smuove.
L’impressione finale è che questa nuova fase di uno Stolt molto produttivo comincia a mostrare qualche leggero segno di cedimento. “Love” è ancora un buon disco, grazie all’esperienza e al mestiere messi in gioco, ma comincia ad avvertirsi una sorta di eccessivo appiattimento della proposta. Insomma, l’ascolto risulta anche soddisfacente, ma dopo, più che un riascolto, è maggiore la voglia di dare una ripassata a “Retropolis” e “Stardust we are”.

 

Peppe Di Spirito

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