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MIKROMIDAS Brennende drømmer Musea 2001 NOR

"Brennende drømmer" rappresenta l'interessantissimo esordio dei norvegesi Mikromidas ed è stato registrato nel 1999, anche se solo adesso vede la luce. Il debutto della band è decisamente valido, grazie ad un sound grintoso e alla discreta personalità che i musicisti riescono a mettere in mostra. Il riff chitarristico diretto e deciso con cui inizia "Incognito city", opener del disco, rivela subito una certa aggressività, confermata anche dal secondo brano "Dvergenes palass". Ma non pensiate a sonorità eccessivamente dure, dato che le schitarrate taglienti del gruppo vengono spesso interrotte da splendide ed improvvise aperture ariose; inoltre, la ricerca di schemi mai banali è indice di una buona inventiva che favorisce la riuscita di composizioni ben curate e sofisticate. In tal senso sono i brani successivi "Nostradamus" e "Pilegrim" quelli che meglio riescono a rendere l'idea della musica dei Mikromidas: dinamici, ma con i musicisti sempre pronti a rendere più tranquille le atmosfere, con rimandi anche agli anni '70 per l'utilizzo di organo Hammond e mellotron. In alcuni frangenti si manifesta qualche similarità con gli Anglagard, di cui vengono riprese certe soluzioni tastieristiche, ma senza ricreare quelle sensazioni d'angoscia che il gruppo svedese era abile a trasmettere.

In realtà, è difficile fare particolari paragoni, perché la band riesce a combinare bene varie influenze, che possono andare dai King Crimson ai Genesis più dinamici, da certo prog scandinavo degli anni '70, saltando poi alle esperienze svedesi di inizio anni '90. E se le prime tracce sono per lo più permeate da molteplici sfaccettature, la stessa variegata ispirazione si ritrova nel prosieguo del lavoro, con brani mai troppo lunghi e che mantengono le caratteristiche appena delineate, magari con qualche tocco melodico in più. Così ecco gli emozionanti squarci di mellotron all'interno dell'elegante "Jublende rekker", le striature vagamente drammatiche della movimentata "Middelveis", la squisitezza formale di "Berg og dvale", l'impeto di "Donde stein" temperato nuovamente da soffici tappeti di mellotron, per concludere con la malinconia dell'elegiaca "I taketimen". Tutti i brani si mantengono su standard abbastanza elevati e donano nell'insieme grande compattezza all'album. I testi sono in norvegese, ma nel libretto del cd c'è una breve spiegazione in inglese sul significato di ogni canzone. Davvero un ottimo album, di cui caldeggio decisamente l'acquisto (specie agli amanti del mellotron) e che ha anche l'ulteriore pregio di dover essere ascoltato più volte per cogliere le innumerevoli sfumature che si possono rinvenire nei suoi quasi 50 minuti.

 

Peppe Di Spirito

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