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17 PYGMIES Celestina II: Second son Trakwerks 2011 USA

Questo è il secondo capitolo dello space concept “Celestina”, una saga in tre volumi che racconta delle avventure di un gruppo di astronauti che esplorano una anomalia, probabilmente un buco nero, nella costellazione di Cassiopea (raffigurata sulla copertina dell’album “Celestina”, pubblicato nel 2008, che raccontava invece l’inizio della vicenda). La band è in giro dal 1982, anche se da allora è passata attraverso varie trasmutazioni di line-up e anche qualche sosta, dopo un periodo regolare di attività dagli esordi fino al 1989, realizzando diversi album di vario credo musicale. Tornando all’opera attuale, che colpisce innanzitutto per l’art-work curatissimo, con tanto di nastrini, brillantini ed un sigillo di ceralacca a chiudere la confezione, essa fa partire la narrazione proprio da dove era stata interrotta col precedente album, iniziando con il dodicesimo movimento “Celestina XII” e terminando, dopo undici tracce, con “Celestina XXII”, alla quale è dato il compito di gettare un ponte verso la nuova opera che ancora deve arrivare. Il capitano Mora ed il suo equipaggio, sopravvissuti al salto nel buco nero, si ritrovano in un pianeta molto simile al nostro, illuminato da due soli e ingentilito da una natura rigogliosa. In questo bucolico paesaggio, dove il tempo non esiste e tutto è immobile, la coppia di astronauti composta da Robert Mora ed Isabel si imbatte in una comunità di robot pacifisti, appassionati di letteratura e avvezzi alla fabbricazione e all’uso di sostanze psicotrope. Da questi robot i nostri protagonisti apprendono un messaggio mistico da riportare sulla Terra, che ovviamente anche voi potrete scoprire leggendo lo splendido e folto booklet argentato che correda l’opera. Il concept è spiegato con dovizia di particolari in forma di narrazione, in contrasto invece con la musica, molto rarefatta, che dipinge più che altro sensazioni ed atmosfere dilatate ed è per lo più priva di parti vocali. La voce solista di Meg Maryatt, che potete ad esempio apprezzare nella seconda traccia “Celestina XIII”, o in “Celestina XVIII”, è limpida e rassicurante e scorre morbidamente su un tessuto musicale lieve come un alito di vento. I pochi momenti cantati sono quelli maggiormente strutturati con la foggia di una canzone vera e propria, che ostenta una veste light prog con venature pop e post rock. Per il resto l’album è composto per lo più da tappeti di synth che in pratica vengono suonati da tutti i membri del gruppo che comprendono, oltre alla vocalist già citata, anche Jeff Brenneman (chitarra e voce), Dirk Doucette (batteria, chitarra, basso e voce) ed infine la vera e propria mente del progetto, Jackson Del Rey (chitarra e basso), ideatore del concept, nonché direttore artistico e produttore. Per completezza riporto che la line-up è arricchita, in tre tracce, dall’ospite Heather Lockie alla viola. La gamma di suoni usati è molto sinfonica, e forse anche per questo la band ama definirsi Progressive, ma manca in realtà una vera e propria ossatura rock. I suoni, molto atmosferici e meditativi, sembrano fluttuare nell’aria come una leggera polverina resa iridescente dall’incontro con i raggi di luce e danno l’idea dello spazio aperto, di qualcosa che sia in qualche modo sospeso nel tempo. La musica è qualcosa di indefinito e impalpabile, con elementi elettroacustici delicati che potenzialmente possono offrire un contesto sonoro adatto per la meditazione e per il rilassamento. I suoni sono molto belli anche se non si organizzano in vere e proprie orchestrazioni ed il tutto fa pensare alla bellezza dello spazio profondo e alla luminosità delle costellazioni. Leggendo la biografia di Jackson Del Rey ho notato che l’ispirazione per questo concept è nata mentre si dedicava a comporre colonne sonore per vecchi film muti in bianco e nero ed il senso in fondo è proprio questo: una colonna sonora che faccia da sfondo al suo racconto. In sostanza il giudizio complessivo è positivo per quest’opera molto piacevole, anche se dai contorni molto indefiniti e tratteggiati con grande delicatezza.


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Jessica Attene

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