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35 TAPES Lost & found Apollon Records / Artemis 2019 NOR

La produzione Prog norvegese degli ultimi anni sembra superare in quantità quella svedese del decennio d’oro svedese degli anni ’90 e spuntano album Prog come funghi dopo un acquazzone estivo, alcuni ad opera di gruppi ed artisti ormai già conosciuti, altri ad opera di band di nuova formazione che, trovando terreno fertile grazie alle label specializzate nazionali (e la Apollon Records, qui chiamata in causa, ha da poco inaugurato la sua divisione Artemis, apparentemente più indirizzata sul Prog sinfonico), riescono a far felici gli appassionati delle oramai stilisticamente consolidate sonorità nordiche.
E’ appena ovvio che, alzando la quantità dell’offerta, può accadere che la qualità della stessa non sia sempre di altissimo livello ma bisogna ammettere che, almeno per quanto mi riguarda, non mi è ancora capitato di ascoltare band e album particolarmente scarsi o comunque meno che sufficienti, sia dai punti di vista stilistici ed artistici che, soprattutto, musicali.
Questa lunga introduzione serve per presentare l’album d’esordio di questa band di Oslo costituita da 3 musicisti che rispondono ai nomi di Morten Lund (chitarre, tastiere, voce), Jarle Wangen (basso, chitarre, voce) e Bjørn Stokkeland (batteria). La loro proposta musicale si colloca in equilibrio tra proposte di band connazionali recenti come Airbag ed Oak (coi Porcupine Tree ovviamente sullo sfondo) ed atmosfere più classicamente Prog sinfoniche di stampo britannico, coi Genesis al primo posto in quanto ad influenze e riferimenti, ma senza dimenticare ovviamente il lato più melodico dei Pink Floyd. Lungo le 4 tracce di quest’album le due influenze stilistiche si rincorrono e si mischiano di continuo, attraverso atmosfere delicate ed eleganti, piacevolmente malinconiche ma non cupe, in cui si innestano armonie, suoni di tastiere e Mellotron, morbide parti di chitarra 12-corde, che ci riportano decisamente (a momenti anche un po’ troppo) proprio ai Genesis.
Il risultato è piacevole, inutile negarlo, ma tuttavia etereo e spesso quasi impalpabile, in quanto a consistenza musicale. Tutto scorre mischiandosi in una duratura sensazione di indefinita piacevolezza ma senza lasciare dietro di sé niente di memorabile, se non qualche riflesso pavloviano nei momenti in cui i riferimenti genesisiani si fanno quasi sfrontati. Anche la traccia di chiusura “Mushrooms”, di oltre 19 minuti, scorre via in modo vaporoso e quasi impalpabile, non concedendo di sé molto di più delle precedenti per una futura memoria di quest’album se non qualche breve momento leggermente più variegato ed intenso.
Un album che, in sintesi finale, raggiunge agevolmente la sufficienza ma che, come dicevano i miei professori, non si impegna abbastanza.



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Alberto Nucci

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