Disco chiaramente indirizzato ai proggettari metallici con tanta voglia di Dream Theater nelle costole. L’ispirazione è quella, anche se questo gruppo ha qualità e personalità piuttosto spiccate, determinate in primis da un chitarrista di ispirazione più hard che metal, un tastierista di chiara scuola sinfonica un cantante molto brillante e una sezione ritmica travolgente e puntuale. Tanto per diritto di cronaca il gruppo partì all’inizio degli anni ’90 come cover band di Yes, Camel, Rush, Genesis e Kansas, poi nel 1998 la decisione di proporre brani di composizione propria.
Questo è il loro quarto album e il secondo in lingua inglese, mentre nei primi due lavori preferirono esprimersi in magiaro. Anche questo lavoro usci, in prima battuta nel 2002 in magiaro e solo a tiratura limitata in Ungheria, poi ci fu il passaggio alla Magna Carta e l’idea di pubblicarlo in inglese. La musica di questo disco è sì vicina a quella dei D.T., ma non è raro ascoltare momenti più avvicinabili al Prog Hard - AOR seventies principalmente di Rush, Rainbow e Kansas. Si tratta di un concept album di 12 brani piuttosto intricati nello sviluppo non solo strumentale ma anche melodico, con poco spazio a riff di presa immediata. Citabili, tra i brani, l’hard in stile Ritchie Blackmore di “Someone Must Take the Blame”, la bella prova vocale di Zoltan Kiss nella breve “Why?” i bei cambi di atmosfera di “The Land of Light” dove la parte chitarristica ricorda molto certe cose dei Boston.
Nonostante l’impegno profuso il disco non aggiunge assolutamente nulla di nuovo al genere e questo è sicuramente l’aspetto più penalizzante di un disco molto curato sotto tutti gli altri aspetti. Quello che ci si potrebbe aspettare da una band del genere è una maggiore attenzione nel mantenere una personalità che sicuramente esiste ma che stenta troppo ad uscire. Disco, come detto, per chi ha ancora voglia di certe sonorità forse stantie e risentite ma, che ben sappiamo, “agganciano” ancora.