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ABASH Madri senza terra Aerostella / Edel 2010 ITA

Qual è la formula più adatta per fare interessare il grande pubblico a determinate forme musicali di solito bistrattate e ritenute inaccessibili o obsolete? Forse è quella di passare dalla porta di servizio proponendo situazioni sonore che mettono in gioco atmosfere progressive su un tessuto propriamente e classicamente rock. Gli Abash sono al terzo lavoro e provengono dal Salento. Terra ricca di tradizione e, diciamocelo, molto di moda in Italia, musicalmente parlando. Sarà merito della “Notte della Taranta” di Melpignano, sarà merito del successo in termine di vendite di Negramaro e Apres La Classe, sarà che la Pizzica salentina viene ballata da chiunque in qualsiasi piazza, ma è innegabile che per un gruppo emergente provenire dal Salento può essere un bel biglietto da visita.
In questo “Madri senza terra” gli Abash mettono sul piatto tutto quello che di buono hanno proposto in oltre 12 anni di carriera. Tradizione salentina, atmosfere rock progressive, elementi provenienti dal metal e altri dalla musica etnica si fondono per creare una miscela che al sottoscritto è decisamente piaciuta. Non siamo di fronte a un gruppo che fa del rock progressive in senso stretto la propria bandiera, né di fronte a una proposta avanguardista o puramente rivolta al passato ma “solamente” ad una formazione con un potenziale commerciale notevole e che soprattutto può contare su un’ottima padronanza degli strumenti e, avendo la fortuna di averli visti dal vivo, di una presenza scenica che difficilmente si trova oggi in Italia anche nei nomi storici. Paradossalmente i più scettici verso questo tipo di proposta trasversale e commerciale (aggettivo che equivale a una bestemmia per il progster medio e non solo) saranno proprio quelli che fanno del prog rock la propria (presunta) ragione di vita. Ed è un peccato perché, non ascoltando gli Abash, gli stessi si perderebbero una delle più belle voci femminili che il nostro bel paese ci ha regalato in questi ultimi anni. Anna Rita Luceri con le sue doti vocali riesce a dare quella pennellata che rende unico un quadro che molti artisti (gruppi) propongono sempre nella stessa maniera. Anche in un brano strutturalmente semplice come può essere “Maràn Athà” incentrato su canto (in israeliano) e chitarra riesce a ritagliarsi uno spazio importante. Tutto il gruppo comunque dimostra delle ottime basi tecniche. In “Otranto 14 agosto 1480” dove si racconta la storia della battaglia nella quale l’esercito ottomano decapitò 800 otrantini che si erano rifiutati di rinnegare la religione cristiana troviamo ottime progressioni sonore e buone scelte da un punto di vista chitarristico. In “Canto alle nuvole” c’è forse l’esempio più riuscito nel disco di fusione tra stili, in questo caso metal, musica etnica e prog. In “Madri” (si può trovare in giro anche un bel video di questo brano) troviamo la qualità unita all’aspetto più commerciale. Ogni brano di questo “Madri senza Terra” è comunque costruito benissimo e denota peculiarità differenti uno dall’altro. Concludendo possiamo definire gli Abash come una gran bella realtà. Una realtà che ha una qualità che il novantacinque per cento dei gruppi italiani underground anche osannati non ha, ossia avere nello stesso tempo un ottimo cantato, un’ottima tecnica di base e un songwriting superiore alla media. Speriamo che la possibilità che gli è stata offerta di suonare davanti a oltre 3000 persone che non li conosceva in un’occasione come quella del Prog Exhibition serva a fargli vendere qualche copia in più perché sinceramente è una realtà musicale che lo meriterebbe.


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Antonio Piacentini

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