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ANDROID East of Eden Periferic Records 2010 UNG

Cinque musicisti che indossano cinque magliette tutte uguali dal colore blu scuro, con la scritta “Android” stampata in alto a sinistra, come cinque identici androidi usciti dalla stessa catena di montaggio di una fabbrica fumosa chiusa sul finire degli anni ’80. Si, perché gli Android non sono certo dei giovincelli. Nata nel 1980 durante gli studi universitari dei componenti, la band suona spesso dal vivo durante la prima metà del decennio, per perdersi poi per strada sino ad una prima reunion del 1995. L’anno successivo, il tastierista Tőzsér József produce un album su cassetta contenente musica esclusivamente strumentale intitolato “East of Eden”. Il 2008 è l’anno della seconda reunion, quando il gruppo decide di rimettere mano al materiale scritto da Tőzsér per arrivare finalmente alla pubblicazione del primo album a nome Android, il quale mantiene lo stesso titolo del lavoro del 1996.
“East of Eden” è un curioso “frullato” di generi, spaziante tra elettronica, prog sinfonico, metal, new age e classica, molto omogeneo nel risultato finale ma affetto da un certo soprappeso auditivo, come una torta nella quale si è esagerato con la crema. La presenza di due tastieristi (ora pare addirittura tre, secondo il sito internet della band) tende facilmente a congestionare un panorama sonoro nel quale si avvertono echi e influenze disparate, passanti per Tangerine Dream, J. M. Jarre, Klaus Schulze e (con risultati neanche comparabili) dei connazionali Solaris, mescolati ad una ritmica tipicamente rock e ad una chitarra distorta molto presente. Il risultato complessivo non è eccezionale ma è tutto sommato accettabile. I brani soffrono della sovrabbondanza di arrangiamenti, basati sui suoni cristallini e artificiali delle tastiere, le quali disegnano linee melodiche spesso pacchiane e ridondanti, allo stesso modo delle chitarre, suonate certamente con perizia ma che a volte mostrano idee compositive vaghe, quasi frettolose nelle idee messe in mostra per ritagliarsi uno spazio vitale. Tra titoli, nessuno spicca in maniera definitiva, solo “East of Eden”, melodica e carica di atmosfera, soffre meno dei difetti descritti, mentre tutto il resto si mantiene sullo stesso livello di sufficienza.
Il disco piacerà agli amanti dei suoni gelidi e pomposi dei sintetizzatori, ma se la produzione e gli arrangiamenti avessero privilegiato un’atmosfera meno “robotica” e più calorosa, “East of Eden” avrebbe potuto raggiungere un pubblico più vasto. Gli Android, in ogni caso, a giudicare dal programma dei loro concerti, sembrano avere un certo seguito nei paesi dell’est europeo, segno dell’interesse che ancora esiste verso questo tipo di suoni.


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Nicola Sulas

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