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ALICE Arrêtez le monde Polydor 1972 (Second Harvest 2007) FRA

Gli Alice si collocano agli albori della scena Prog francese e risultano fra i primissimi a dedicarsi a questo genere, assieme ad altri pionieri come Ame Son e Martin Circus. La loro musica, assai interessante, rischiava, nonostante alcune idee di valore, di essere dimenticata. Le loro produzioni discografiche, due in tutto, più la versione in inglese di questo album di cui ci occupiamo, sono infatti molto rare e costose nella loro versione in vinile e le ristampe legittime si sono fatte aspettare a lungo. Gli Alice iniziano la propria carriera musicale da un repertorio improntato alla psichedelia, come testimonia il debutto discografico del 1970, registrato a Londra e forse anche per questo molto anglicizzato anche nello stile, ma con il secondo album avviene una svolta sinfonica: ricche orchestrazioni sopraggiungono ad arricchire quel sound fumoso ed istintivo portando allo sviluppo di un proprio particolare carattere. Il cantato è in francese ma stilisticamente il gruppo continua a guardare oltre la Manica, sebbene, lo abbiamo detto, dimostri una propria personalità. La costruzione dei brani, essenziale al debutto, si fa ora più articolata ed è arricchita da momenti orchestrali, con interessanti, anche se non frequenti, richiami alla musica contemporanea. Persiste al tempo stesso una rustica struttura rock che rende la musica diretta e movimentata, nonostante gli arrangiamenti sofisticati. In realtà la fusione fra psichedelia e progressive rock non è sempre perfetta e in alcuni momenti, soprattutto in quelli completamente strumentali, prevalgono le ambientazioni orchestrali, mentre in altre occasioni vi è un’impronta a volte cantautoriale (si tratta dei momenti più deboli dell’opera) e a volte più diretta e hardeggiante.
“Introduction”, il breve pezzo di apertura, con belle orchestrazioni disegnate da timpani, flauti e corni che ricordano a tratti i nostrani Maxophone, ha un impatto maestoso e sfuma in “Salina”, uno strumentale cupo e sinfonico, intriso di vapori psichedelici ma al tempo stesso delicato. La title track, divisa in due parti separate da un paio di brani, è il primo pezzo cantato dell’album. La voce di Alain Suzan, autore sia dei testi che della musica, è accompagnata da una chitarra acustica arpeggiata alla quale si intrecciano suggestive orchestrazioni. “Byzance” è un cupo strumentale con visioni che ricordano in parte gli EL&P e in parte Stravinskij, mentre “Il Est”, è sognante e spettrale, con oscuri tappeti di Mellotron e un flauto che sembra sospirare e che fa pensare a un’alba pigra appesantita dalla nebbia e appena rischiarata dai timidi raggi del sole nascente. La coda di questi due brani è rappresentata in pratica dalla seconda parte di “Arrêtez le monde” che si svolge in appena 54 secondi.
Specularmente ad aprire la seconda parte dell’album troviamo una bella “Overture”. “Le roseau” ha una struttura hard psichedelica, con chitarre graffianti, un cantato diretto e riferimenti ai Beatles e agli Uriah Heep che si stemperano in una matrice sinfonica, con un piano dinamico e gentile. Di qui in poi i toni si rilassano e la musica si fa più intimistica: la successiva “Quelqu’un qui t’aime” è una semplice ballata acustica accompagnata da chitarra classica ed organo e con cori un po’ sbiaditi. Con altrettanta semplicità segue “Franky l’oiseau”, costruita anch’essa su essenziali fraseggi di chitarra. L’episodio conclusivo dell’album è “Le Cercle”, diviso in due parti, che ci riporta su territori sinfonici ma pur sempre delicati e sognanti. Moog e Mellotron vengono utilizzati per creare trame leggere, anche quando lo spartito si fa più complesso e in generale il sound di questo album non è purtroppo valorizzato da una buona registrazione. Le sonorità sembrano scolorirsi sotto il peso di una densa coltre di polvere e non sono ben amalgamate. Forse questo aspetto contribuisce a dare una sensazione di antichità o di fumo psichedelico ma secondo me non rende perfettamente giustizia alla bellezza degli spartiti.
La proposta per certi aspetti può dimostrarsi ingenua ma è calata appieno nello spirito dell’epoca e si dimostra quindi autentica ed in sostanza interessante, nonostante i difetti che un orecchio critico può trovare. Leggendo qua e là ho trovato in rete la testimonianza di un vecchio fan francese che ricorda di aver visto questa band dal vivo e pare che effettivamente il gruppo rendesse di più che su disco che non sembra aver catturato appieno l’essenza di quella musica. Forse non riuscirò mai a sapere la verità ma nonostante tutto questo disco rimane una bella testimonianza del passato, oltre che un’opera godibile ed interessante. Mi auguro così che questa band non rimanga soltanto un argomento di discussione per esperti e che la loro musica torni a volare attraverso le casse dei vostri impianti hi-fi.


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Jessica Attene

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